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Procedimento civile
La rivendicazione del disturbo da rumore davanti al Giudice Ordinario o Giudice di Pace
Limiti di tollerabilità delle immissioni sonore A cura di dott. Fabio Zunica Per gentile concessione di Filodititto
Immissioni tra passato e presente La tematica delle immissioni sonore, la cui delicatezza è particolarmente avvertita nell'attuale dibattito giurisprudenziale e dottrinario, pur evidenziando interessanti risvolti civilistici, si caratterizza tuttavia per la sua trasversalità, ovvero per la sua idoneità a investire aspetti e problemi comuni ad altre discipline giuridiche. Con riguardo al diritto amministrativo, ad esempio, è emersa proprio con riferimento alle immissioni nocive, la necessità di offrire uno sbocco giurisdizionale alla categoria, un tempo sfornita di tutela, degli interessi diffusi. In relazione, invece, al diritto penale, la condotta immissiva può essere sanzionata ricorrendo, almeno nelle ipotesi meno gravi, all'art. 659 c.p.(disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone), per la cui configurabilità si è ritenuta sufficiente anche la lesione dell'interesse di una sola persona, facendo rientrare così anche la quiete privata nel più ampio concetto di ordine pubblico tutelato dalla norma (Cass. n° 9862 del 1987). Una recente pronuncia giurisprudenziale (Cass. n° 7941 del 2000), invece, invoca addirittura l'applicazione dell'art. 590 c.p. (lesioni personali colpose), laddove le propagazioni sonore provenienti dall'ambiente esterno (nella specie il rumore dei pattini giungeva dall'abitazione sovrastante) producano una vera e propria sindrome ansioso-depressiva nel soggetto che sistematicamente le subisce. Per quanto concerne, invece, gli aspetti più propriamente civilistici, è necessario premettere che i limiti di liceità delle immissioni sono strettamente legati al modo stesso in cui di volta in volta viene configurato, a livello ordinamentale, il diritto di proprietà; non deve sorprendere, allora, come nell'esperienza giuridica romana, in cui l'estensione del diritto dominicale si protraeva usque ad coelum et inferos non fosse compiutamente ipotizzabile un vero e proprio divieto di immissioni nocive. Solo ad opera della giurisprudenza classica fu finalmente sancita l'inammissibilità delle immissiones in alienum: pur senza dar luogo a una generale proibizione, si iniziarono infatti a delineare taluni limiti allo ius abutendi sotteso al diritto proprietà. Ulpiano (politico e giurista romano), in proposito, afferma chiaramente che in suo hactenus facere licet quatenus nihil in alienum immittat (D.8.5.8.5); lo stesso autore, più oltre (D.8.5.8.5.7), ci ricorda che il proprietario di un fondo non può spaccare pietre facendo schizzare le schegge nel fondo vicino, né può riversare il fumo prodotto dalla propria officina nel fondo contiguo. Nel nostro attuale assetto legislativo, invece, l'interpretazione in chiave precettiva degli artt. 2, 32 e 42 della Costituzione, in omaggio alla teoria tedesca della Drittwirkung, impone di inquadrare la problematica relativa alle immissioni, non più in un'ottica meramente dominicale, ma nel più ampio discorso relativo alla tutela dei diritti inviolabili accordati dall'ordinamento. Rilevanza e limiti di tollerabilità delle immissioni, quindi, dovranno misurarsi con le specifiche esigenze connesse allo svolgimento di altri diritti anche essi dotati di copertura costituzionale, al fine di realizzare un equo contemperamento degli interessi in gioco.
Tipologia delle immissioni, con particolare riferimento al suono del pianoforte, all'abbaiare del cane e al rintocco delle campane Secondo un importante intervento giurisprudenziale (Cass. sez. II, n° 11 del 1975), le immissioni possono essere distinte in tre categorie: quelle derivate da un uso normale della cosa, causative di semplici molestie, che debbono essere tollerate, quelle causative di un danno patrimoniale al fondo vicino, che non possono essere vietate in quanto ricollegabili ad esigenze produttive delle imprese, corrispondenti alle necessità di un certo tipo di società e infine quelle dannose e illecite perché non dipendenti da uso normale delle cose o dalle esigenze della produzione. La corrispondente azione, quindi, si delinea come una tipica actio in rem, rientrando nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a difesa del diritto di proprietà e tendenti a far accertare l'inesistenza non solo di vere e proprie servitù sul fondo dell'attore, ma anche di qualsiasi altrui pretesa idonea a provocare molestie e danno e a ottenere la cessazione degli atti lesivi corrispondenti. Nell'ampiezza delle ipotesi immissive contemplate dal legislatore, le propagazioni di suoni e rumori, per la rilevante frequenza che ne caratterizza la diffusione, meritano sicuramente un'attenzione particolare, anche alla luce dell'importanza che possono assumere le finalità del soggetto immettente. Tra i tanti, uno dei casi più interessanti per la cui tutela si invoca l'art. 844 c.c., è costituito dal conflitto tra proprietari in ordine al suono del pianoforte proveniente dall'abitazione di uno di essi. Vengono in considerazione, infatti, da un lato la necessità di tutelare le utilità connesse al pieno godimento del diritto di proprietà e dall'altro lato, l'imprescindibile esigenza di non privare di consistenza giuridica quei diritti allo studio, al lavoro o all'insegnamento, la cui promozione riceve ampio impulso proprio dal dettato costituzionale. La Cassazione, in particolare, con la sentenza n. 10735 del 3 agosto 2001, ha avuto modo di occuparsi della controversia tra i titolari di due appartamenti, in uno dei quali si svolgevano delle lezioni pomeridiane di pianoforte, il cui suono era ritenuto intollerabile dal proprietario dell'altro appartamento, il quale chiedeva e otteneva dal giudice di appello la cessazione delle immissioni sonore nonché il risarcimento del danno ex art. 844 c.c. La corte di appello, infatti, ribaltando il giudizio del tribunale di primo grado, aveva osservato che, per accertare il superamento del limite di normale tollerabilità richiamato dall'art. 844 si doveva fare riferimento al criterio comparativo consistente nel confronto tra il livello medio dei rumori di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo rilevato nel luogo interessato dalle immissioni. Il limite della normale tollerabilità doveva quindi ritenersi superato da quelle immissioni, come quelle riscontrate in sede di consulenza tecnica, di intensità superiore al limite considerato accettabile di 3 decibel al livello sonoro di fondo. Per l'accertamento del limite, infatti, la giurisprudenza ha da sempre posto in luce la necessità di riferirsi alla cosiddetta rumorosità di fondo, costituita dal complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, caratteristici del luogo su cui si innesta il suono ritenuto immissivo (Cass. sez. II, n. 5695 del 1978). Il costante utilizzo del pianoforte, nel caso di specie, disturbando sensibilmente le normali attività e incidendo seriamente, oltre i limiti di normale tollerabilità, sul diritto di proprietà e di godimento dell'attore, in relazione alla camera da letto del suo appartamento, giustificava quindi la tutela inibitoria riconosciuta dall'ordinamento insieme a quella risarcitoria. La Suprema Corte, nel ritenere immune da censure la sentenza impugnata, ha avuto modo di sottolineare che il limite di tollerabilità delle immissioni di cui all'art. 844, ha carattere non assoluto ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione. Si sono tenuti in debita considerazione, infatti, sia la natura dell'immobile interessato dalle immissioni, inserito in un edificio condominiale, sia il tipo di attività, materiali e intellettuali che normalmente si svolgono in un appartamento di civile abitazione. Le prime reazioni alla sentenza in oggetto, tuttavia, soprattutto a livello sociale, non sono state di unanime approvazione; si è osservato, in particolare, come tale pronuncia abbia operato una lettura privilegiata delle esigenze connesse al diritto di proprietà, trascurando quel fondamentale diritto all'insegnamento altrettanto meritevole di protezione e considerazione. Premesso che il bilanciamento degli interessi in gioco non è di facile soluzione, può comunque osservarsi che un primo passo avanti per prevenire l'insorgere di controversie in materia, potrebbe essere innanzitutto quello di ricorrere agli strumenti offerti dalla tecnologia moderna. Nel caso in esame, ad esempio, si è riscontrato il cattivo funzionamento dell'impianto di insonorizzazione che, se correttamente installato, avrebbe sicuramente reso quanto meno tollerabili, se non addirittura inesistenti, le immissioni contestate. Ciò che comunque si intende mettere in rilievo, è come quello sui limiti di tollerabilità delle immissioni sonore si presenti sostanzialmente come un giudizio dai contenuti atipici, il cui svolgimento non si articola su parametri uniformi. Una recentissima pronuncia della Cassazione (sezione II, n. 13506 del 20 ottobre 2001), ribadisce che il relativo apprezzamento espresso dal giudice di merito, traducendosi nella valutazione di circostanze di fatto, è sindacabile in sede di legittimità solo se incongruamente e illogicamente motivato. E le ipotesi conflittuali che possono venire in rilievo sono di particolare interesse. Con la sentenza appena citata, infatti, si è dichiarata intollerabile l'immissione costituita dall'abbaiare di un cane dopo aver accertato, da un lato, la generale quiete della zona residenziale in cui erano situati gli immobili, dall'altro l'abitudine del cane di abbaiare all'avvicinarsi di qualunque persona, sino all'intervento risolutore del padrone di casa. Essendo la rumorosità dell'abbaiare tale da impedire la normale conversazione tra soggetti presenti nel giardino adiacente, il proprietario di questi ha così potuto ottenere la tutela inibitoria ex art. 844 c.c.. Altro caso che pure risulta di frequente verificazione, è quello delle immissioni acustiche provocate dall'uso di campane a scopo di culto, la cui intensità sia idonea ad arrecare grave nocumento alla serenità delle persone abitanti nei dintorni della Chiesa. Come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza di merito (Pret. Mantova, 16 agosto 1991), in tal caso il giudizio di normale tollerabilità ex art. 844, in estensione del secondo comma dell'articolo, deve tendere a conciliare le ragioni della proprietà con le esigenze ovviamente non della produzione, ma della vita religiosa, con possibile sacrificio, quindi, purché di lieve entità, del riposo individuale dei soggetti direttamente coinvolti. In alcune circostanze (Pret. Verona,29 giugno 1984), invece, non si è esitato a inibire la diffusione dei rintocchi, disponendo, con provvedimento d'urgenza, il sigillo del potenziometro dell'amplificatore al fine di contenere, nei limiti della normale tollerabilità, la relativa attività sonora. In relazione a tutte queste ipotesi conflittuali e a molte altre che possono venire in rilievo, il vero problema, a nostro parere, non è tanto quello di formare una graduatoria di valore tra i vari diritti costituzionalmente garantiti, ferma restando la parità di tutti, ma di rispettare il principio basilare del neminem laedere nell'esplicazione di ciascuno di essi. Ogni diritto, cioè, merita la dovuta protezione nella misura in cui si adottino le opportune e normali cautele al fine di non recare nocumento all'altrui sfera giuridica. In ogni caso, poi, ben si potrà ricorrere all'autonomia privata, alla luce dell'art. 1322 primo e secondo comma, al fine di concordare modi e tempi dell'attività potenzialmente immissiva. Risulta possibile ipotizzare, nella specie, la stipulazione di un contratto atipico, dalle finalità essenzialmente transattive, che potremmo definire di "sopportazione onerosa dell' altrui rumore", caratterizzato dallo scambio tra un facere del soggetto che produce le immissioni sonore e un pati di colui che invece le subisce. Per una tale figura contrattuale, tuttavia, più che di meritevolezza degli interessi, potrebbe porsi un problema in termini di loro futilità e cioè di effettiva giuridicità del vincolo. Un tale dubbio, però, sarebbe presto fugato se al pati del soggetto che subisce le immissioni, fosse correlata, in chiave sinallagmatica, una controprestazione del soggetto immettente, ad esempio, ma non esclusivamente, sotto forma di corrispettivo pecuniario. Una tale pattuizione non può invece assumere il carattere della liceità laddove venga ad essere inciso il diritto alla salute o alla tranquillità della vita familiare: trattandosi di diritti primari, infatti, non possono trovare equivalenti in una somma di denaro (Cass. n° 4523 del 1984). Sembra equo ritenere, in definitiva, che colui che intenda svolgere un'attività potenzialmente immissiva, si faccia fronte in via preventiva delle eventuali conseguenze dannose che una tale attività comporti, predisponendo le opportune cautele o stipulando apposite convenzioni atipiche allo scopo di limitare il tipo di attività ritenuto lesivo.
Rilevanza dei limiti pubblicistici in ordine all'attività sonora Un ulteriore passaggio della sentenza della Cassazione sul pianoforte degno di nota, è quello in cui si afferma che, per l'accertamento del limite della normale tollerabilità, non potevano essere utilizzati i criteri previsti dal DPCM 1/3/1991, in cui si stabilisce che per le zone non industriali, la differenza minima da non superare rispetto al livello del rumore ambientale è di 3 decibel per il periodo notturno e di 5 decibel per quello diurno, in contrasto con quanto affermato dal giudice di merito. Osserva il Supremo Collegio, tuttavia, che leggi e regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano modalità di rilevamento dei rumori e limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, operano soltanto nei rapporti tra privati e P.A., poiché perseguono finalità di interesse pubblico. Su questo stesso livello di efficacia, si collocano anche i Piani di risanamento previsti dalla legge quadro sull'inquinamento acustico n°447 del 1995 che stabilisce i principi fondamentali in materia, impegnando Stato, Regioni ed Enti locali nel difficile compito di trovare in materia soluzioni concordate ed idonee. L'art. 844, invece, essendo posto a presidio del diritto di proprietà, è volto a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini. Del resto, anche la dottrina in proposito distingue tra limiti di accettabilità, introdotti da norme pubblicistiche e limiti di tollerabilità, rilevanti nei rapporti intersoggettivi, che ben possono essere più bassi dei primi, in relazione allo stato dei luoghi e alla differente conformazione che può assumere il diritto reale. Il superamento del limite di accettabilità fissato dalla legge non è tuttavia privo di conseguenze giuridiche: il Tribunale di Milano, sez. XII, con la sentenza del 21/10/99,ha stabilito che, quando a seguito del superamento di tale limite, si verifichi in concreto una lesione della serenità personale dell'individuo, è ravvisabile un danno esistenziale da inquinamento acustico che, stante anche la sua patrimonialità, è suscettibile di autonoma pretesa risarcitoria, pur non identificandosi nel danno biologico. Una tale fattispecie ben può venir in rilievo, invece, laddove si configuri una vera e propria menomazione dell'integrità psico-fisica. Situazione diversa si verifica laddove i limiti di attività acustica contenuti in un provvedimento amministrativo non si rivelino idonei a salvaguardare la sfera giuridica dei soggetti che ne risultino pregiudicati:in tal caso costoro sono legittimati a ricorrere dal giudice amministrativo per chiedere l'annullamento del provvedimento da cui prendono origine le immissioni lesive (T.A.R. Emilia-Romagna, sez. II, n° 525 del 10 novembre 1992). La giurisprudenza amministrativa così ha avuto modo di ribadire che rumori e degradazioni ambientali, specie in relazione all'attività serale e notturna di un pubblico esercizio, costituiscono lesioni di un legittimo interesse dei proprietari e residenti di unità immobiliari ubicate nelle strette vicinanze dello stabile in cui si svolge tale attività, legittimando così la richiesta di annullamento del relativo provvedimento autorizzatorio. Il discorso diventa più articolato, invece, nel caso in cui il privato lamenti le immissioni sonore e non solo causate da un'opera realizzata direttamente dalla P.A. E' stato infatti stabilito (Corte di Appello di Ancona, 11 maggio 1979) che i rumori, derivanti dal funzionamento di un'autostrada sopraelevata rispetto a una casa, laddove eccedano il limite della normale tollerabilità recando grave turbamento all'ambiente e alle condizioni in cui normalmente si svolge la vita in un'abitazione, nonché il pericolo di caduta di oggetti e automezzi, determinano una compressione del relativo diritto di proprietà, dando così luogo al diritto all'indennità ex art. 46 legge 2359 del 1865. In tale ipotesi, infatti, appaiono di immediata percezione, da un lato l'insufficienza, dall'altro l'impossibilità, di una eventuale tutela inibitoria ex art. 844, versandosi invece in una vicenda che va incidere, indirettamente, sulla struttura stessa del diritto dominicale.
Diritto alla salubrità ambientale e prospettive di tutela Non pienamente condivisa, anche in seno alla stessa giurisprudenza, è comunque l'interpretazione in chiave strettamente dominicale dell'art. 844 operata tra l'altro anche dalla sentenza sul suono di pianoforte. Secondo un diverso approccio ermeneutico, infatti, la tutela inibitoria accordata dall'art. 844 sarebbe utilizzabile anche al di fuori della sfera dei rapporti reali, essendo sufficiente al riguardo la titolarità di un diritto personale di godimento. Secondo questo orientamento, in definitiva, la cessazione dell'attività immissiva deve ottenersi quando si verifichi un danno tanto alla cosa quanto alla persona. Le conseguenze di una tale ricostruzione, in termini pratici, sono molto rilevanti. Invocando l'art. 844. infatti, per ottenere la cessazione dell'attività nociva, basta far riferimento al criterio oggettivo dell'intollerabilità delle immissioni, prescindendo quindi dalla colpa o dal dolo richiesti invece dall' art. 2043. Senza l'applicazione dell'art. 844, invece, l'unica tutela riconosciuta al soggetto non proprietario leso dalle immissioni intollerabili, sarebbe il solo rimedio risarcitorio, la cui inadeguatezza si manifesta nel suo poter intervenire soltanto ex post, come peraltro accadrebbe anche per la reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 che, come è noto, non opera sul danno futuro, come l'art. 844, ma solo sul danno già verificatosi, per giunta con i limiti della possibilità e della non eccessiva onerosità. Sull' attendibilità di questo indirizzo, tuttavia, pesa il giudizio negativo espresso dalla Corte Costituzionale con la celebre sentenza 247 del 1974, la quale ha ribadito come l'art. 844, essendo contraddistinto da una chiara logica proprietaria, non sia estensibile al di là dei meri rapporti di vicinato per la disciplina dei quali è stato introdotto. Anche a nostro giudizio, del resto, il dato normativo risulta difficilmente superabile, sia in considerazione del tenore linguistico della norma, sia per la chiara collocazione sistematica rivestita (III libro del codice civile), sia per la ratio sottesa alla sua emanazione, che è appunto quella di garantire il pieno godimento della res da parte del proprietario. Queste considerazioni, comunque, non inducono a prospettare, nel caso di danno non alla cosa ma alla persona, al di fuori della titolarità di un diritto reale, un incolmabile deficit di tutela. In questo senso, merita di essere segnalato quell'indirizzo giurisprudenziale (Cass. sentt. n°1463 e 5172 del 1979) che ha enucleato, tra i nuovi diritti della personalità, il cd. "diritto alla salubrità ambientale", quale posizione giuridica soggettiva, disancorata dalla titolarità di rapporti proprietari, che identifica la pretesa dell' individuo alla conservazione e all'integrità dell'ambiente in cui si svolge la sua personalità. Si tratta, in primo luogo, di un diritto inviolabile dalla sfera operativa della Pubblica Amministrazione, per cui si è ritenuta svolta in carenza di potere l'azione amministrativa che compromette il diritto all'ambiente salubre. Di conseguenza, sul piano processuale, chi assume leso il diritto alla salubrità ambientale per effetto dell'attività amministrativa (ad esempio con la costruzione di una discarica), deduce in giudizio una situazione che ha la consistenza del diritto soggettivo con radicamento, quindi, della giurisdizione ordinaria (Cass. n° 3872 del 97). Per riconoscere reale autonomia alla figura in questione e conseguentemente per ampliare i relativi spazi di tutela, si è inoltre suggerito di intendere il diritto alla salubrità ambientale non come aspetto del diritto alla salute, caratterizzato dalla specialità dell'oggetto, ma come diritto a sé stante, in quanto tale svincolato da ogni riferimento alla lesione dell'integrità psico-fisica del soggetto. Questa diversa impostazione nasce da una rivisitazione del concetto classico di ambiente, inteso nella più ampia accezione di strumento incrementativo del benessere individuale, come elemento che determina la qualità della vita, la cui lesione, indipendentemente dalla lesione dell'integrità psico-fisica, giustifica quanto meno la pretesa risarcitoria. Permane tuttavia la difficoltà, a livello teorico e pratico, di dare un contenuto più determinato a una figura giuridica che, priva di legami con il diritto di proprietà ed eventualmente anche con il diritto alla salute, risulta di incerto inquadramento sistematico. Un ulteriore allargamento degli orizzonti di tutela potrebbe inoltre prospettarsi da parte di quell'autorevole filone dottrinario (in particolare Bianca) che, pur negando l'estensione analogica dell'art. 844, tuttavia ammette l'esperibilità dell'azione inibitoria non solo qualora sia prevista da specifiche disposizioni normative (artt. 7, 9, 10, 2599 c.c., art.28 st. lav.), ma più in generale ogni qual volta si rende necessario approntare un rimedio alle lesioni attinenti alla sfera patrimoniale o personale dell'individuo. La legittimità di una tale opzione interpretativa risiederebbe nella nozione di illecito quale violazione del dovere di non arrecare danno ingiusto, che sarebbe già violato nel porre in essere una fattispecie idonea a produrre il danno. Il giudice, quindi, dovendo imporre l'osservanza di ciò che è già imposto dalla legge, concedendo l'inibitoria, non farebbe altro che convertire in concreto il precetto astratto rivolto alle parti. Quale possibile strumento di tutela preventiva, quindi, l'inibitoria verrebbe a porsi accanto ai provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., la cui esperibilità in materia immissoria, anche a prescindere dalla dimensione dominicale, è stata da sempre ritenuta possibile soprattutto in considerazione della delicatezza degli interessi coinvolti. (C. Cost. 247/74). Con tale rimedio, ad esempio, potrebbe ottenersi in via cautelare la rimozione di apparecchiature potenzialmente in grado di arrecare danno all'altrui sfera giuridica. Va comunque sottolineato che il giudice, adito con richiesta di provvedimento d'urgenza per vietare immissioni sonore, non ha alcun potere di dettare specifiche modalità tecniche volte ad eliminare o ridurre le immissioni, avendo esclusivamente il potere di vietare tali immissioni oltre il limite di tollerabilità, mentre resta a carico dell'obbligato la scelta dei mezzi tecnici idonei a raggiungerlo (Pret. Monza, n. 1484 del 1984). Come si può facilmente constatare, quindi, nel quadro non esaustivo dei rimedi offerti dal legislatore, decisivo si è rivelato l'apporto di dottrina e giurisprudenza in una materia, come quella delle immissioni sonore, in cui la pluralità degli aspetti richiamati richiede un attento impegno ermeneutico da parte degli operatori del diritto in vario modo chiamati a intervenire.
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