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Agosto 2013 - A cura di Luciano Mattevi

 

Da oramai diversi anni, ossia da quando il quesito referendario del 18 aprile 1993 ha sancito, tramite consenso popolare, lo scorporo dal Sistema Sanitario Nazionale degli aspetti inerenti le problematiche ambientali, l’acustica è entrata nel sistema agenziale delle ARPA-APPA conoscendo un periodo di sviluppo fondato su un approccio metrico-analitico alternativo a quello igienico-sanitario dal quale ne aveva tratto origine nel lontano nel 1934 con il Regio decreto del 27 luglio, n. 1265 recante “Testo unico delle leggi sanitarie”.

Una soluzione efficacie? Forse. Di certo, stupisce l’abnorme numero di regolamenti, racchiusi nell'ambito comunitario, nazionale, regionale, provinciale e comunale, con i quali si è cercato di limitare i problemi legati ai rumori. Un rigagnolo di vincoli e disposizioni dei quali, pure fra gli addetti ai lavori, alle volte si riscontrano non poche difficoltà per trovare il bandolo della matassa. Il risultato è che molte di queste azioni rimangono incompiute, com’è accaduto con le disposizioni inerenti i requisiti acustici passivi degli edifici, assunti dal d.P.C.M. 5 dicembre 1997, senza tralasciare la Classificazione Acustica del territorio, di cui ancora numerosi Comuni ne trascurano l’efficacia o, quand'anche presente, non di rado i limiti rispecchiano lo stato di inquinamento esistente, piuttosto che trasporre una coerente esigenza di salvaguardia legata all’effettivo utilizzo del territorio, chissà, forse per non “disturbare” coloro che sono all’origine del disturbo e per i quali ci si dimostra disponibili a modificare, all’occorrenza, il “tetto” al rumore quando tali vincoli diventano per costoro eccessivamente restrittivi. Come pare sia accaduto in una particolare circostanza che viene qui menzionata grazie alla segnalazione di un nostro lettore, il quale ha inteso presentare alla Redazione un caso alquanto singolare.

Un Comune marchigiano, probabilmente spinto dall’esigenza di voler risolvere il problema dei rumori notturni, ha stabilito, con ordinanza, di innalzare, in talune specifiche fasce orarie (dalle ore 22.00 alle ore 01.00, dalla domenica al giovedì, e dalle ore 22.00 alle ore 03.00 il venerdì, sabato e prefestivi) i valori limite assoluti di immissione definiti dalla Classificazione Acustica di 5 e 10 dB(A), a seconda dei casi espressi da tale provvedimento.

A prescindere dalle valutazioni di merito, in virtù delle quale il nostro lettore ha inteso promuovere ricorso al T.A.R., ciò che colpisce è il fatto che un’Amministrazione, garante degli interessi della collettività, abbia inteso riversare solo su taluni soggetti, ossia sulla popolazione esposta ai rumori, una parte consistente degli oneri derivanti dall’esercizio di attività rumorose, svolte in periodi tipicamente vocati al riposo ed alla tranquillità, piuttosto che promuove un corretto e coerente utilizzo del territorio, nel quale le esigenze del divertimento e della produzione non abbiano a scontrarsi con quelle, altrettanto legittime, del risposo e della tranquillità notturne della popolazione. A tal riguardo, pare utile ricordare che un aumento di 10 deciBel corrisponde, per un soggetto normoudente, ad un raddoppio della sensazione uditiva e, in termini energetici, ad un incremento di 10 volte del segnale originale.

Anche per questo, appare opinabile voler concedere agli Enti locali la possibilità di definire le soglie di salubrità del rumore, consentendo loro, a prescindere dal merito delle conoscenze, di regolare i limiti di rumore sulle porzioni di territorio di competenza, agendo attraverso lo strumento della Classificazione Acustica. Un ambito di intervento particolarmente delicato, dal momento che da questo ne consegue, da un lato, la definizione dei limiti di accettabilità, dall’altro il vincolo al quale devono venire ricondotte le sorgenti di rumore. Criteri che, il più delle volte, escludono dal campo di valutazione specifici metodi con i quali valutare la reazione della popolazione al rumore, analogamente a quanto invece svolto in ambito nazionale nella definizione dei limiti per le infrastrutture stradali e ferroviarie o dalla Commissione europea, allorquando ha deciso di assoggettare i futuri programmi di sviluppo delle politiche ambientali agli esiti di specifiche valutazioni demandate all’OMS Europa (Organizzazione Mondiale della Sanità).

Non si esclude che uno strumento di salvaguardia omogeneo, disposto direttamente dagli organi centrali in capo alle competenze del Ministero della Salute, avrebbe eluso possibili disparità di tutela fra quei cittadini residenti in Comuni più virtuosi, ove trovano riscontro in una maggiore protezione e tutela dai rumori, rispetto ad altri nei quali, invece, tale attenzione viene meno.

In alcuni Paesi tali dibattuti problemi sono stati risolti alla radice perseverando, laddove possibile, nel principio generale che "dove si lavora non si vive e dove si vive non si lavora” con l’obiettivo di preservare entrambe le esigenza espresse da una civiltà moderna, quella del lavoro, bene essenziale per la crescita e lo sviluppo di una società, e quello della salvaguardia del benessere dei cittadini, senza i quali il lavoro non può trovare terreno fertile su cui sviluppare le proprie prerogative di sviluppo. Promuovere tardivamente tali obiettivi significa, inevitabilmente, accusare un sempre maggiore ritardo dagli altri competitor internazionali che, oramai da tempo, hanno imboccato la strada dello sviluppo e della crescita.

Un ringraziamento particolare va infine rivolto all’Avv. Pier Francesco Bartolazzi Menchetti (Studio legale di Senigallia (AN) - sito web: studiobartolazzimenchetti.it) che, con il suo prezioso intervento, ha permesso di poter presentare alla Vostra attenzione questa singolare vicenda. Ancorché sia stata accolta la domanda cautelare di sospensiva dell'efficacia dell'Ordinanza Dirigenziale, auspichiamo che l'azione da lui promossa possa trovare degno epilogo anche nella prossima trattazione di merito, quale utile azione di salvaguardia dei Diritti dei cittadini esposti a fenomeni sonori indesiderati.

 

 

 

 

 

 

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