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Analisi e riflessioni sulle sentenze di Brescia, Como e TorinoA cura dell'Avv. Luca Bridi - Patrocinante in Cassazione e Presidente del Foro immobiliare sez. Milano
Tribunale di Brescia n. 2621/2017 Una coppia risiedente in una zona centrale di Brescia cita in giudizio il Comune di Brescia, accusandolo di aver legittimato, nella zona adiacente alla loro abitazione, l’apertura di attività commerciali che hanno notevolmente aumentato le immissioni di rumore serale e notturno, provocando loro stress e depressione legata all’insonnia. Prima di andare davanti al Giudice ordinario per l’azione risarcitoria e inibitoria, avevano agito sul piano amministrativo. Poiché comunque le immissioni proseguivano, la coppia, sostituiva le persiane di questo, pagando ulteriori 9.000 euro. Chiedeva dunque l’eliminazione, ex art. 844 c.c., delle immissioni intollerabili; Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ex art. 2043 c.c. Il Comune eccepiva di non essere legittimato passivo perché non esercita le attività fonte di rumore; sottolineava che aveva fatto il possibile per prevenire e ridurre il problema. Il Tribunale osservava che le propagazioni di rumore nel fondo del vicino che superino la soglia della normale tollerabilità costituiscono un fatto illecito tale da giustificare, in via cumulativa, l'adozione sia della tutela inibitoria prevista ai sensi dell'art. 844 c.c., avente carattere reale e natura negatoria, sia di quella apprestata dalla clausola generale di cui all'art. 2043 c.c., avente natura personale, consistente nel risarcimento del danno cagionato dalle immissioni.Il giudizio sulla tollerabilità delle immissioni, per consolidato orientamento della giurisprudenza, va, quindi, operato secondo il prudente apprezzamento del giudice, il quale deve tenere conto delle particolarità della situazione concreta e, anzitutto, della vicinanza dei luoghi e dei possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni (ex multis, Cass., sez. 2, sent. n. 939 del 17/01/2011). Peraltro, in tal caso, i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità non debbono essere necessariamente di natura tecnica, non venendo in rilievo l'osservanza dei limiti prescritti dalle leggi speciali (in particolare la legge n. 477 del 1995 sul cosiddetto inquinamento acustico e dal D.P.C.M. n. 280 del 1997). L'istruttoria confermava che dal 2010 avevano aperto alcuni bar e locali nella zona limitrofa all'abitazione degli attori. Inoltre le testimonianze confermavano la grande quantità di persone che frequentava i bar limitrofi fino a tarda notte, fino alle due di notte nelle sere da giovedì a domenica. Inoltre i clienti dei bar stazionavano al di fuori degli esercizi commerciali anche dopo l'orario di chiusura dei bar. La straordinaria affluenza di persone nelle giornate della "movida" si poteva inoltre evincere dalle fotografie prodotte in giudizio. Era stato inoltre provato che gli avventori che si intrattenevano nella via fino a tarda notte si trovavano spesso in stato di alterazione psicofisica dovuto all'assunzione di bevande alcoliche. Il tecnico incaricato dei rilievi osservava che la presenza delle persone nella via innalzava in modo significativo il campo acustico presente nelle abitazioni rispetto a quello che si osserva in assenza dei soggetti disturbanti. I livelli di rumore misurati evidenziano un notevole incremento del campo acustico normalmente presente all'interno dell'abitazione, a causa del vociare generato dai soggetti che transitavano o stazionano. L'intensità delle immissioni sonore provenienti dalla via era stata altresì accertata dal T.A.R., sezione distaccata dì Brescia, il quale aveva rilevato che le indagini fotometriche denotavano inequivocabilmente l'insistenza di non minimali inquinamenti acustici, soprattutto notturni, pericolosi e dannosi per la salute umana. Quindi le immissioni di rumore nell'abitazione degli attori provenienti dalla strada comunale erano eccedenti la soglia della normale tollerabilità, in considerazione del numero ragguardevole di persone vocianti, del frequente stato di alterazione alcolica delle stesse, della fascia oraria in cui si verificavano gli schiamazzi, del differenziale dì oltre 20 dB. rispetto alle condizioni ordinarie di rumore ambientale e, infine, del conseguente pericolo per le condizioni di salute degli attori. Il ragionamento del Giudice di primo grado si esplicava poi in altre osservazioni. Poiché le immissioni erano causate da avventori che, pur trovandosi nei locali aperti, erano altresì sulla strada pubblica, di proprietà comunale, sarebbe stato obbligo del Comune impedire loro di fare schiamazzi e rumore. L’ente proprietario è il Comune e lui deve rispondere ex art. 844 c.c. Quindi condannava il Comune a far cessare le immissioni di rumore nella proprietà degli attori provenienti dalla via ovvero ad adottare le cautele idonee a riportare dette immissioni entro la soglia della normale tollerabilità, mediante la predisposizione di un servizio di vigilanza, organizzato per tutte le sere dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con l'impiego di agenti comunali che si adoperino, entro la mezz'ora successiva alla scadenza dell'orario di chiusura degli esercizi commerciali autorizzati, a far disperdere ed allontanare dalla strada comunale le persone che stazionano lungo la stessa. In ordine alla quantificazione del danno, sussiste quello non patrimoniale, per 20.000 euro a ciascun coniuge, nonché quello patrimoniale legato alla sostituzione degli infissi. La tesi del Tribunale porta ad una ragionata interpretazione dell’art. 844 c.c. poi condivisa anche dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 14209 del 23 maggio 2023 che cassava Corte Territoriale di secondo grado rinviando ad altro collegio della Corte d'Appello di Brescia.
Tribunale Como n. 312/2019 Nell'ambito di una controversia di merito intentata da una coppia avente la propria abitazione in affaccio diretto su una piazza frequentata dai clienti di alcuni esercizi commerciali di somministrazione di alimenti e bevande, esperita e depositata la CTU, sussistendo il fumus bonis iuris ed il periculum in mora, gli attori depositavano un ricorso ex art. 700 c.p.c.: in detto ricorso, visto il netto incremento degli avventori del locale in orario serale, veniva chiesto al Giudice di merito di adottare con urgenza tutti i provvedimenti idonei e necessari al fine di contenere le immissioni acustiche connesse agli esercizi commerciali entro i limiti della normale tollerabilità. A sostegno della domanda proposta in via cautelare i ricorrenti avevano dedotto che, relativamente al fumus bonis iuris, il CTU nominato nella causa di merito, nella propria relazione peritale, aveva rilevato nella abitazione attorea il superamento dei limiti di accettabilità amministrativa e di tolleranza giurisprudenziale delle immissione acustiche provenienti dall'esercizio delle attività commerciali tanto da raggiungere valori di attenzione tali da rappresentare un rischio per la salute umana e l'ambiente di vita: a fronte di tali risultanze era stato anche chiesto che il Comune revocasse le autorizzazioni per l'occupazione del suolo pubblico; relativamente al profilo del periculum in mora da circa sei anni gli attori erano costretti a sopportare fenomeni immissivi tali da pregiudicare il loro diritto alla salute ed al risposo, fenomeno maggiormente acuito nel periodo estivo. Si sono costituti in giudizio gli esercizi commerciali contestando la domanda e chiedendone il rigetto, rappresentando che non fossero stati superati i limiti legali inerenti le immissioni molesti e facendo altresì presente di avere presentato alla sovraintendenza per la provincia di Como un progetto per la costruzione di un dehor chiuso con relativa pedonalizzazione dell'area nelle ore notturne; il Comune anch'esso costituitosi ha ribadito le eccezioni preliminari svolte nel merito – difetto di giurisdizione del giudice ordinario, inammissibilità della domanda di accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti autorizzatori ed inammissibilità dell'azione ex art. 844 c.c. per carenza dei presupposti; si sono altresì costituite le assicurazioni terze chiamate che si sono associate alle difese svolte dall'ente assicurato. Il Tribunale di Como, nella persona del Giudice dott.ssa Laura Serra con ordinanza del 21 giugno 2018, aveva ritenuto il ricorso fondato e lo aveva accolto per le seguenti ragioni: in primis, ha disatteso l'eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dal Comune, affermando che la posizione giuridica soggettiva di cui gli attori chiedevano tutela, sia in sede di merito sia in sede cautelare, doveva essere qualificata diritto soggettivo da identificarsi nel diritto alla salute (art 32 della Carta Costituzionale), diritto inviolabile ed assoluto che non trova compressioni nell'esercizio del potere pubblico dell'amministrazione.Tale principio veniva affermato nella giurisprudenza di legittimità, in fattispecie del tutto analoghe a quella di specie, in quanto sussiste la giurisdizione dell'autorità giurisdizionale ordinaria "poiché l'azione, diretta a far cessare il fatto illecito, configurato dalle immissioni intollerabili, non investe nessun provvedimento amministrativo, deducendosi a fondamento della duplice pretesa, inibitoria e risarcitoria, la lesione del diritto di pacifico e tranquillo godimento degli immobili di proprietà, nonché del preminente diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost." (cfr. ex multis Cassazione Sez. Unite 06.09.2013 n. 20571; Cassazione Sez. Unite 27.02.2013 n. 4848; Cass. Sez. Unite 13.12.2007 n. 26108, Cass. Sez. Unite Ord. n. 22116/2014 e Cass. Civ. n. 14180/2016). Relativamente al fumus boni iuris, il Tribunale ha affermato che il codice civile detta, in materia di immissioni, una norma, l'art. 844 c.c, che, nel segnalare il limite della normale tollerabilità, lascia al Giudice il potere discrezionale di contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà; nell'operare tale valutazione, il Giudice non può fare a meno di verificare l'esistenza di norme specifiche antinquinamento: la ratio sottesa a tale principio – privatistico a tutela della proprietà e pubblicistico a tutela della produzione – non può spingersi a legittimare una situazione contra legem. Sicché, nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, occorre tener conto che "il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione in soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un'attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti… sono da reputarsi illecite" (Cassazione n. 5564/2010). In particolare, il Tribunale ha dato atto che all'esito delle indagini effettuate, era emerso – anche tramite la CTU - che le attività recettive che godono dell'occupazione della piazza producevano, all'interno dell'abitazione degli attori, il palese superamento dei limiti sopra evidenziati di accettabilità amministrativa e di tollerabilità giurisprudenziale. Nello specifico, il CTU ha rilevato che nell'abitazione degli attori si verificavano immissioni di rumore particolarmente gravose quando le finestre erano aperte e nella circostanza in cui si manifestavano fenomeni riconducibili all'attività degli esercizi pubblici nella sottostante piazza; in particolare è stato riscontrato che le misurazioni effettuate nel soggiorno dell'abitazione rilevavano un costante superamento dei limiti imposti dalla legge specialmente nelle ore notturne precisato che l'abitazione dei ricorrenti rientra, a differenza della piazza, nella Classe Acustica 2 ovvero Area destinata ad uso prevalentemente residenziale. Quanto al periculum in mora, il Tribunale ha ritenuto sussistente il rischio di un pregiudizio irreparabile per il diritto alla salute minato da immissioni rumorose riscontrate e che si propagavano costantemente all'interno dell'abitazione pressoché tutte le sere della settimana compromettendo la tranquillità e la serenità degli occupanti prevalentemente nel periodo estivo. Per queste ragioni il Giudice di Como ha accolto il ricorso disponendo che: a) l'uso del plateatico esterno fosse immediatamente interdetto a decorrere dalle ore 23 di ciascun giorno della settimana; b) il personale degli esercenti adottasse la massima cautela nell'attività di sparecchiamento e nel ritiro di sedie e tavole; c) fossero interdetti l'installazione di diffusori acustici e la previsione di intrattenimenti musicali e conviviali; d) fosse predisposto un servizio d'ordine durante tutto il periodo di apertura dei locali al fine di evitare affollamenti e di controllare gli atteggiamenti comportamentali degli avventori; e) il Comune vigilasse rigorosamente sul rispetto delle prescrizioni assunte; f) il Comune incrementasse il controllo e la vigilanza della piazza soprattutto in orario notturno; g) il Comune monitorasse acusticamente in modo costante la piazza mediante i propri tecnici e tramite l'Arpa.
Tribunale Torino n. 1261/2021 Un considerevole numero di soggetti, abitante in un quartiere noto per la cosiddetta movida notturna, aveva chiamato in causa il comune di residenza per essere risarcito dei danni provocati dagli effetti del rumore provocato da tale fenomeno ed il Tribunale di Torino aveva accolto la richiesta con sentenza n. 1261/2021. Il quartiere di residenza dei ricorrenti era, infatti, diventato la principale zona di svago e di divertimento notturno della città con aperture di ristoranti, wine e cocktail bar, enoteche, street food, minimarket con asporto, ai quali si erano aggiunti numerosi venditori ambulanti. I dehors avevano gradualmente occupato interi marciapiedi estendendosi alle strade: l’afflusso di persone, aumentato nelle ore notturne, congestionava le strade; i marciapiedi, i portoni e le auto parcheggiate venivano imbrattati e i protagonisti della movida urlavano, sporcavano i muri, facevano esplodere fuochi d’artificio, insultavano i passanti, colpivano le auto che tentano di farsi strada,suonando i campanelli dei palazzi a tutte le ore. La gente si assembrava, anche sollecitata dagli appuntamenti diffusi sui social media ed il chiasso di ciascun locale si sommava così al rumore di fondo, in un fenomeno d’insieme travalicante le singole fonti di disturbo.
La classificazione acustica Il piano di classificazione acustica assegnava ad alcuni isolati del quartiere la classe III (aree di tipo misto, con un limite assoluto di immissione rumorosa pari a 50 dB(A)) e a pochi altri la classe IV (aree di intensa attività umana, con il limite di 55 dB(A)). Negli anni, l’ARPA e la Polizia Municipale avevano individuato venti locali dove i limiti di immissione sonora erano superati con eccedenze comprese tra 13 e 19,5 dB(A); le punte massime (da 65 a 74 dB(A)) si registravano tra la mezzanotte e le due del mattino e tutte le relazioni erano state inviate al comune, peraltro già al corrente della situazione per via dei numerosi esposti dei residenti.
Il quadro normativo I ricorrenti richiamavano, a questo punto, i diritti costituzionali: alla salute, all’inviolabilità del domicilio, al godimento della proprietà, appellandosi all’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; riportavano inoltre le linee guida sul rumore notturno pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che, illustrando le conseguenze dell’esposizione al rumore, fissano in 40 dB la soglia da rispettare durante le ore destinate al sonno, aggiungendo che, in ogni caso, neppure per brevi periodi possono essere superati i 55 dB. La direttiva 2002/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 giugno 2002 è stata recepita dall’Italia, da ultimo con il d.lgs. n. 42 del 17 febbraio 2017 mentre la legge n. 447 del 1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) attribuisce alla competenza dei comuni la classificazione in zone del loro territorio, l’adozione di piani di risanamento e il controllo del rispetto della normativa all’atto del rilascio di licenze e autorizzazioni all’esercizio di attività produttive. La legge regionale n. 52 del 20 ottobre 2000 ha confermato tali competenze dei comuni.
La competenza del Tribunale ordinario Il Comune è tenuto a rispettare, come ogni proprietario di un fondo, l’art. 844 del Codice Civile, che vieta le immissioni, nei fondi vicini, di rumori che superino la normale tollerabilità. La responsabilità si estende alle immissioni provocate da terzi e i ricorrenti meritano tutti questa tutela, perché sono o proprietari delle abitazioni in cui risiedono o detentori qualificati. Sussiste la giurisdizione del Tribunale ordinario, perché la domanda non investe scelte e atti autoritativi, ma, oltre al risarcimento dei danni, attività soggette al rispetto del principio del neminem laedere, con conseguente richiesta di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalle immissioni rumorose illecite, indipendentemente dalla prova di un pregiudizio alla salute in punto di compromissione del riposo, della serenità, dell’equilibrio mentale, della vivibilità dell’abitazione che sono tutti beni messi a repentaglio dal comportamento, quanto meno omissivo, del comune. La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, del resto, nella recentissima ordinanza n. 21993 del 12 ottobre 2020, ha deciso che “In tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda, proposta dai cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della Pubblica Amministrazione a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali o non patrimoniali, patiti, atteso che l’inosservanza, da parte della Pubblica Amministrazione, delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e di prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al Giudice Ordinario non solo per conseguire la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenere la condanna a un ‘facere’, tale domanda non investendo scelte e atti amministrativi della Pubblica Amministrazione, ma un’attività soggetta al principio del ‘neminem laedere”. La controversia in esame apparteneva, quindi, alla giurisdizione ordinaria in quanto si chiedeva l’adozione, da parte del comune, di tutte le misure adeguate al contenimento della rumorosità nel quartiere, tutti atti illeciti riconducibili alla norma generale di cui all’art. 2043 Codice Civile; legittimato all’azione è anche il titolare di un diritto personale di godimento sul fondo e, quindi, anche i ricorrenti che erano titolari di un contratto di locazione. Infine, il comune è stato convenuto in giudizio per aver intrapreso una politica sbagliata di gestione del territorio, per aver adottato provvedimenti privi di efficacia contenitiva dei rumori e per aver omesso di vigilare sul quartiere: la legittimazione passiva, dunque, sussiste, e non va confusa con la fondatezza, nel merito, dei titoli di responsabilità.
La perizia fonometrica La consulenza tecnica, resasi necessaria perché il comune aveva evidenziato l’insufficienza delle relazioni dell’ARPA e della perizia fonometrica prodotta dai ricorrenti, ha completato il quadro con la misurazione dei rumori nei singoli alloggi, concludendo che "il limite differenziale notturno, all’interno delle abitazioni degli attori a finestre aperte, risulta sempre superato". Tale superamento è ratificato dalla tre condizioni di valutazione adottate per valorizzare il differenziale; la statistica relativa alle classi di superamento del differenziale in funzione della condizione di valutazione, dimostra che: le due condizioni di valutazione che prendono in esame la differenza tra rumore ambientale e rumore residuo (A e B) indicano che la maggior parte dei superamenti del limite differenziale notturno si concentra nella classe 15-19 dB(A); la condizione di valutazione che prende in esame la differenza tra rumore ambientale e rumore di fondo (D) indica che la maggior parte dei superamenti del limite differenziale notturno si concentra nella classe 25-29 dB(A). Tali superamenti evidenziano l’elevata criticità dello stato acustico interno alle abitazioni degli attori … nei giorni di venerdì e sabato, giorni nei quali sono stati eseguiti i rilievi del rumore ambientale e si manifesta in modo più marcato il fenomeno acustico esaminato; la soglia di tollerabilità, indicata in 3 dB(A), è sempre superata all’interno di tutte le abitazioni degli attori a finestre aperte”. Riguardo alle cause dell’inquinamento acustico, si leggeva, poi, dalle conclusioni della perizia, che era sempre e soltanto la cosiddetta movida a generare, oltre al rumore, tutti i pregiudizi segnalati.
Il nesso causale tra movida e danno lamentato Si doveva, quindi, stabilire se davvero il Comune avesse posto in essere tutto quanto era in suo potere per ricondurre le immissioni rumorose entro i limiti previsti e, in generale, per evitare o contenere gli altri effetti nocivi della movida. Il nesso causale tra i danni patiti dai ricorrenti e le azioni o le omissioni del comune doveva, dunque, essere ricercato secondo la norma generale dell’art. 2043 Codice Civile. La legge n. 447 del 26 ottobre 1995 (legge quadro sull’inquinamento acustico), del resto, individua, all’art. 6, le specifiche competenze dei comuni dove vengono in rilievo, tra l’altro, l’adozione di regolamenti per l’attuazione della disciplina statale e regionale e i piani di risanamento acustico; si prevede, inoltre, l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti per il ricorso temporaneo a forme di contenimento e di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibizione totale o parziale di determinate attività. Tuttavia i provvedimenti emanati dal comune avevano avuto un successo al più limitato e provvisorio e, comunque, si erano palesati del tutto insufficienti per ricondurre la rumorosità del quartiere entro i limiti di legge e lo stesso comune affermava che tutto quanto avveniva sfuggiva alla possibilità di ulteriori interventi. L’eccessivo affollamento del quartiere, con tutte le conseguenze negative, non era casuale, ma dipendeva dalla concentrazione, in quell’area, di un numero eccessivo di esercizi commerciali e tutto ciò che si voleva evitare continuava a riprodursi da anni, senza sensibili miglioramenti con l'ovvia deduzione che i provvedimenti del comune a carico di questo universo commerciale erano stati del tutto insufficienti per responsabilità del comune, cui conseguiva l'obbligo del risarcimento dei danni.
Il risarcimento dei danni Che i ricorrenti fossero stati lesi nel loro diritto al riposo, al sonno, al tranquillo svolgimento delle normali attività e al godimento dell’habitat domestico e di quartiere non aveva richiesto particolari dimostrazioni. Rumori dell’entità di quelli accertati impediscono, infatti, di dormire, generando una situazione di stanchezza cronica che pregiudica il lavoro, le incombenze imposte dalla quotidianità, lo svago e le relazioni sociali. La perdurante difficoltà di accedere alla propria abitazione, sia a piedi sia in auto, correndo di continuo il rischio di essere insultati, derubati, danneggiati nelle proprie cose, genera stress e ansia. Trovare le vie e le piazze di ogni giorno imbrattate e invase da rifiuti provoca una rabbia costante e impotente ed infatti riguardo al “pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che "va data continuità all’indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità, in forza del quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi" (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 2611/2017, ribadita da Corte di Cassazione nn. 10861/2018, 21504/2018 e 21544/2018). Tale peculiare danno di carattere non patrimoniale non poteva che essere valutato con criterio equitativo, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., non potendo essere provato nel suo preciso ammontare e non si riteneva l'esistenza di fatti colposi dei ricorrenti che avessero concorso nella produzione del danno, sicché non è applicabile l’art. 1227 Codice Civile. Il periodo da considerare era dall'anno 2013 (primo accesso dell'Arpa) al 9 marzo 2020, data del DPCM che, a partire dal giorno successivo, aveva disposto il primo cosiddetto lockdown: si può quindi affermare che, almeno per la durata di sette anni, gli effetti della movida sono stati innegabili, apparendo equo liquidare, per ciascun anno, l’importo di euro 6.000, pari a euro 500 al mese: in tutto, euro 42.000 a persona, salvo alcune situazioni personali peculiari di trasferimento dal luogo, oltre interessi legali sono dovuti dalla data della sentenza al saldo. La sentenza di Como 312/2019 è stata confermata dalla Corte d'Appello di Milano con sentenza n. 72/2023 (vedasi articolo Sole 24 ore del 18 gennaio 2023). La sentenza del Tribunale di Torino n. 1261/2021 è stata confermata con riforma del quantum con Sentenza della Corte d'Appello di Torino con sentenza n. 1198/2022 (vedasi articolo Sole 24 Ore del 30 novembre 2022).
__________________________________________________________ Studio Legale Avv. Luca D.A.L. Bridi Patrocinante in Cassazione - Presidente del Foro immobiliare sez. Milano Via Carlo Poerio, 15 - 20129 Milano (MI) tel. 02 86461163 - fax: 02 76020911 mail: lucabri9@tiscali.it - lucabridi9@gmail.com
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