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Problema malamovida. Breve commento a due recenti sentenze tra loro contrastanti

Gennaio 2023 - A cura di Avv. Santo Durelli (sito: avvocatodurelli.it)

 

Sono state emesse recentemente sulla problematica della malamovida due decisioni, di segno opposto tra loro: la sentenza della Corte di Appello di Torino del 13/10/2022 e la decisione in sede cautelare del Tribunale di Catanzaro del 25/10/2022.

Vi è anche un singolare intreccio tra le due decisioni in quanto il Giudice di Catanzaro ha fatto riferimento, come precedente giurisprudenziale cui ha aderito, alla sentenza del Tribunale di Torino che è stata riformata in appello proprio dalla sentenza della Corte del 13/10/2022.

La problematica che ha dato origine alle due decisioni è sostanzialmente identica: cittadini che, esasperati dalle immissioni moleste, acustiche ma non solo, che la c.d. malamovida genera, risultati inutili o con esito insoddisfacente le richieste ed esposti presentati ai vari enti, convengono in causa il Comune chiedendo che venga condannato a fare quanto necessario per far cessare le molestie.

Diametralmente opposte, come dicevo, le due decisioni.

❖ Il Tribunale di Catanzaro ha respinto la domanda di un cittadino disturbato (proposta in via cautelare) motivando che, sebbene in linea generale il giudice ordinario abbia il potere di ordinare alla Pubblica Amministrazione un obbligo di fare al fine di evitare pregiudizi alle persone, imponendo l’adozione delle misure ritenute più idonee, questo potere incontra un limite nelle scelte discrezionali che spettano alla P.A. nel governo del territorio, ragion per cui il Tribunale ha ritenuto di non poter intervenire e spingersi fino ad imporre all’amministrazione scelte organizzative quali la predisposizione di un adeguato servizio di vigilanza, la revoca delle licenze, la fissazione di un orario di chiusura degli esercizi commerciali, o l’abolizione dei dehors dell’intero centro cittadino;

❖ La Corte di Appello di Torino invece – riformando la sentenza del Tribunale di Torino che era stata negli stessi sostanziali termini di quella del Tribunale di Catanzaro - ha condannato il Comune a far cessare le immissioni superiori alla normale tollerabilità, concedendogli sei mesi di tempo per provvedere e disponendo una penale di 10,00 euro per ogni giorno di ritardo a favore di ciascuno dei disturbati che hanno agito in giudizio.
La Corte ha però ridotto drasticamente il risarcimento del danno che il Tribunale in primo grado aveva accordato ai cittadini.

Ritengo che la sentenza della Corte di Torino – salvo in punto risarcimento, di cui si dirà – sia ineccepibile per i percorsi logico/argomentativi ed equilibrata nella decisione finale.

Analizziamo (soltanto) i punti salienti di questa sentenza:

a) la Corte ha innanzitutto stabilito che la causa era stata correttamente proposta nei confronti del Comune, in quanto proprietario del ”fondo” (l’art. 844 cod. civ. usa questo termine per indicare la proprietà, n.d.r.) da cui provenivano le immissioni, essendo stato mosso l’addebito per non aver provveduto a prendere efficaci provvedimenti per ricondurre le immissioni nel limite della normale tollerabilità;

b) la Corte ha altresì ritenuto che la giurisdizione appartenesse al Tribunale ordinario, e non al Tribunale amministrativo, in quanto in causa si discuteva principalmente della lesione del diritto alla salute, ossia di un diritto soggettivo la cui tutela compete al giudice ordinario, per l’appunto, e la Pubblica Amministrazione è tenuta ad attivarsi per far sì che questo diritto non subisca compromissioni nel suo nucleo essenziale. E se la P.A., anche a mezzo di comportamenti omissivi (come nel caso di specie) non tutela questo diritto, commette un illecito;

c) il Comune di Torino si è difeso ribadendo la tesi (che in primo grado era stata condivisa dal Tribunale in primo grado) che l’incremento del numero dei locali era stata una conseguenza della liberalizzazione del Decreto Bersani, per cui il Comune può imporre restrizioni solo se giustificate da superiori esigenze e nei limiti di proporzionalità ed adeguatezza. Ed entro questi limiti, è stata la sua difesa, aveva già provveduto riducendo orari di apertura e chiusura, disciplinando modalità di somministrazione delle bevande, disponendo i controlli dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente (ARPA) ed altre misure ancora. Altro non poteva fare e nessun addebito di colpa poteva essergli mosso.

La Corte di appello ha disatteso la difesa del Comune con una argomentazione ineccepibile ed illuminante dei principi che regolano il rapporto tra il Giudice ordinario e la P.A., che, a mio avviso, supera e sminuisce di importanza, quale precedente in materia, la decisione del Tribunale di Catanzaro.

Il passaggio motivazionale della sentenza della Corte torinese merita davvero di essere riportato, come di seguito.

“L’azione ex art. 844 c.c. ha natura reale e negatoria, con la conseguenza che, una volta riscontrata la presenza di immissioni intollerabili, al proprietario del fondo da cui esse provengono può esserne ordinata la cessazione a prescindere da qualsiasi profilo di colpa e dalle ragioni per le quali esse si verificano, rilevanti solo in funzione dei provvedimenti che a tal fine possono essere adottati.

Da tale punto di vista va però rilevato che – data la complessità della situazione oggetto di causa – una inibitoria da pronunciarsi nei confronti di un Comune con indicazione degli specifici rimedi da adottare per ricondurre le immissioni nel limite dell’844 c.c. è in concreto difficilmente configurabile. Ciò in ragione della varietà tipologica delle misure che in teoria potrebbero essere adottate per ottenere la cessazione delle eccessive immissioni rumorose in rapporto alla discrezionalità che la P.A. dispone nell’utilizzo delle proprie risorse: tale risultato presuppone, infatti, non semplicemente l’adozione di questa o di quella misura ma un complessivo e coordinato utilizzo delle risorse dell’amministrazione.

Sebbene, come si è visto, la P.A. possa anche essere condannata al facere a tal fine necessario (anche di tipo infungibile, vedasi sentenza Cassazione n. 26/11/2008 n. 28274), occorre però considerare la varietà dei casi concreti che possono o meno implicare una interferenza del Giudice ordinario nella sfera rimessa alla discrezionalità amministrativa, discrezionalità che, se non può comprimere diritti fondamentali incomprimibili, come quelli fatti valere (alla salute e alla qualità della vita, n.d.r.), può esplicarsi nel modo con cui accordare la tutela. Tantomeno potrebbe il Giudice ordinario disporre l’emissione di atti amministrativi, ad esempio di riduzione degli orari degli esercizi ovvero di controllo del territorio da parte della Polizia locale.

Per tali considerazioni, la Corte ritiene di doversi limitare di ordinare al Comune di far cessare le immissioni rumorose superiori alla normale tollerabilità nelle ore serali e notturne nelle quali la violazione è stata denunciata e constatata. In particolare, esse andranno ridotte con riferimento ai limiti dettati dalla zonizzazione acustica del territorio e dalla normativa regolante la materia per le ore serali e notturne e la relativa verifica andrà poi condotta con le medesime modalità e criteri seguiti dal C.T.U.”.

Ecco il punto di equilibrio individuato dalla Corte di Appello per non lasciare, da un lato, senza tutela inibitoria – come invece avevano fatto la sentenza del Tribunale di Torino (ora riformata) e la decisione del Tribunale di Catanzaro – la legittima istanza dei cittadini esasperati, dall’altro lasciando alla Pubblica Amministrazione di decidere “come” conseguire la tutela.

Altrettanto condivisibile è la decisione di fissare una penale a carico dell’Amministrazione per ogni giorno di ritardo (rispetto ai sei mesi concessi) nel raggiungimento dell’obiettivo della riduzione della rumorosità, il che – è da prevedersi – costituirà un mezzo di coercizione di fondamentale importanza.

Sul risarcimento del danno

La Corte di Appello, come accennavo, ha drasticamente ridotto il risarcimento del danno di tipo esistenziale che il Tribunale aveva riconosciuto in Euro 500,00 al mese per ogni destinatario.

La Corte lo ha liquidato in appena 100,00 Euro al mese circa, nonostante abbia dato atto di immissioni enormemente superiori al limite consentito (25-30 dB oltre il rumore di fondo in ore notturne!).

La Corte ha giustificato questa riduzione in base al concorso di due ordini di ragioni:

- per il fatto che il disturbo si verificava solo per alcuni giorni la settimana, in determinate ore ed era percepito nella sua gravità solo in periodo estivo stante che negli altri periodi si tengono le finestre chiuse.

- per il fatto che quei cittadini non avevano “addotto concreti e specifici elementi in merito alle conseguenze pregiudizievoli da ciascuno subite…” (su questo aspetto, non conoscendo gli atti di causa, non posso che astenermi da ogni commento).

La liquidazione del risarcimento di questo tipo di danni viene operata dal Giudice in via equitativa, il che porta inevitabilmente a quantificazioni tra loro assai differenti (per fare un esempio: una sentenza del Tribunale di Genova di poche settimane or sono ha riconosciuto un risarcimento di euro 2000,00 a persona disturbata da rumori del vicino perdurati per appena sei mesi e non continuativi).

Certo è che la somma di 3-4 euro al giorno per una molestia acustica di quella gravità perdurata per molti anni appare davvero irrisoria.

A mio avviso la Corte ha ragionato come se per il nostro organismo, dopo che è stato per molte ore sottoposto a rumori fortemente disturbanti, una volta che questi cessano è come se il disturbo non si fosse mai verificato, per cui ogni fase di disturbo è considerata e valutata (sotto l’aspetto risarcitorio) come a sé stante.

La Corte ha omesso di considerare, quantomeno, che una immissione (seria, grave, ripetuta) porta con sé un effetto che è stato efficacemente definito come “coda psicologica del rumore”, secondo cui in questi casi “la caratteristica della continuità non è fisica ma psicologica: il disturbo è continuo se il rumore arriva quando è ancora viva l'esperienza dell'ultimo rumore dello stesso tipo” (in questi termini si è espresso Giorgio Campolongo, decano dei tecnici acustici, nel volume “Il Rumore nel vicinato nelle controversie giudiziarie”).

Credo – e auspico - che la sentenza della Corte torinese costituisca un precedente che sarà tenuto nella massima considerazione in successivi contenziosi in materia per quanto attiene alla definizione delle responsabilità e degli obblighi in capo alla Pubblica amministrazione nell’affrontare il problema malamovida.

Certamente non sarà un compito facile per le nostre Amministrazioni rimediare a tanti anni di guasti causati da scarsa e comunque inefficace governance del territorio, con politiche urbanistiche assai poco consapevoli e lungimiranti che hanno consentito un’eccessiva concentrazione di locali dove la vendita di alcolici è il principale fine. Ma non potranno neppure confidare, se le statuizioni tipo quelle assunte dalla Corte di Torino troveranno larga applicazione, di sottrarsi a responsabilità patrimoniali (oltre che politiche) assumendo provvedimenti tampone o limitati nel tempo e nello spazio.

La sentenza è altresì importante perché potrebbe infondere nei cittadini maggiore fiducia nell’intraprendere azioni giudiziali a tutela dei loro diritti, certamente impegnative e dall’esito mai scontato, ma le sole che in questa fase storica – salvo eccezioni - paiono gli unici strumenti efficaci a disposizione dei cittadini esasperati per la tutela dei loro diritti.

 

Approfondimenti:

Per ulteriori aspetti giuridici della problematica malamovida sia consentito il rimando a precedente articolo dello scrivente:

Il problema «malamovida» inquadramento giuridico, tra diritto pubblico e privato. Come combatterla

 


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