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Musica e trasformazione
A cura della Dott.ssa Elena Cipani - Psicologa (Sito web: elenacipanipsicologa.it)
Ascoltando vari tipi di brani musicali strumentali, ho pensato che sia possibile distinguerli in due categorie, in base alle impressioni che ci possono regalare. Questo tentativo di distinzione nasce dall’impressione che ci siano brani che, al di là di un legame con un ricordo o che si tratti di colonne sonore di importanti film, riescano a coinvolgere e ad emozionare più di altri. Per esempio, ascoltando dalla rubrica Musicamente, il brano "The scent of love", mi rendo conto che il livello del mio ascolto diventa via via emotivamente più profondo. Questo brano mi affascina e, nonostante lo abbia ascoltato molte volte, faccio fatica a memorizzarlo per canticchiarlo mentalmente. Come mai? Come può essere che un brano sia difficile da ricordare e allo stesso tempo sia in grado di dare emozioni intense? Cioè, in qualche modo possa essere sia sfuggente che stimolante? Sfuggente alla memoria ma presente nel dare emozioni e invogliare ad ascoltarlo di nuovo? Forse è proprio in questa doppia caratteristica che si trovano le risposte.
In effetti, di solito siamo attratti da persone o cose che ci emozionano e l’attrazione può farsi più forte quando sentiamo che l’oggetto di attrazione si allontana. Di conseguenza, andremo alla ricerca di ciò che ci ha emozionato o tenteremo di riprodurre in qualche modo le sensazioni provate. Il tempo passato a pensare di riprodurre tali sensazioni rappresenta il momento in cui l’immaginazione trova il suo spazio e diventa quindi possibile anticipare mentalmente eventi e sensazioni, attribuendo un senso a ciò che accade. In questo tempo si colloca la possibilità della nascita della capacità di pensare, della crescita e del cambiamento. Questo mi porta a pensare che il brano n. 64 possa essere considerato un brano "aperto" nel senso che con le proprie note riesce ad accompagnare senza mai essere scontato. Se pensiamo invece ad un brano ripetitivo, in cui si ha l’impressione che anche ad un primo ascolto sia facile indovinare le note successive, in cui c’è un ritornello che si ripete, potremo essere attratti all’inizio per vari motivi: è facile da ricordare, è possibile canticchiarlo in modo spensierato, e in fondo la ripetizione porta in sé un’illusione di sicurezza. Ma prima o poi un brano ripetitivo tende ad annoiare perché la componente del nuovo si esaurisce molto velocemente.
Se ci si ferma alla facile memorizzazione e a ripetere sempre lo stesso motivetto senza la voglia di altro, prima o poi si rischia di rimanere fermi. Il brano ripetitivo non stimola il pensiero, al massimo ci si stufa e si cerca un altro brano ripetitivo, come in un circolo vizioso. Questi brani, che mi fanno pensare a qualcosa di sempre uguale, li definirei "chiusi". E’ sempre importante trovare un equilibrio tra apertura e chiusura. Per quanto riguarda i brani musicali, il n. 64 rappresenta la situazione in cui c’è una base sicura che però lascia spazio alla fantasia, e si trova ad un livello intermedio tra la estrema prevedibilità dei brani ripetitivi e l’improvvisazione musicale. All'opposto di un brano ripetitivo potremmo collocare i suoni senza base, il caos, il non pensiero. Però, questo movimento tra la ricerca del nuovo e ricerca di rassicurazione, caratterizza anche vari aspetti della vita. Bisogna accettare un livello di incertezza per crescere e non restare aridamente sempre fermi sulle stesse posizioni. Il ciclo di vita ha in sé il concetto di vita e di morte: perché ci sia vita, altro deve morire. Se si intende la morte da un punto di vista singolo, "chiuso", la vita diventa fine a se stessa. La morte è la fine di tutto, pensare alla morte crea estrema angoscia, perché rappresenta il negativo in assoluto, l’assenza, il non esistere, la perdita.
E non è certo possibile pensare alla morte come evento che non faccia paura o che implichi la fine della propria vita. Però, in certi momenti, si potrebbe provare a pensare alla morte non come fine di tutto ma come trasformazione: immaginarsi come appartenenti a qualcosa di più grande, di più bello e indipendente rispetto al mondo che conosciamo. Con un senso di appartenenza a un "di più". Al di sopra di tutte le cose terrene quotidiane, che di fronte a questo "di più" perdono importanza. Questo più, ognuno lo immaginerà nel modo in cui preferisce, dal sentirsi parte della natura alla fede religiosa. Ma è il "di più" che aiuta ad andare oltre, a considerare la morte come trasformazione, pace, evoluzione della persona e del "tutto" della natura. La musica può aiutare ad entrare in contatto con il proprio mondo interno. Maggiore è la conoscenza di sé, migliore sarà il rapporto con il mondo esterno. La musica è senza tempo, sopravvive alle persone.
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