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L’evoluzione di un popolo attraverso l’attenzione per
l’inquinamento fonico
Lo sviluppo tecnologico e sociale delle civiltà moderne ha comportato un “inevitabile” innalzamento dei livelli di rumore prodotti dallo sviluppo delle attività antropiche, oramai raccolte in estesi addensamenti abitati, nonché ad una diffusa meccanizzazione della produzione e della mobilità. Il rumore è, quindi, un disagio di una modernità non controllata che affligge gran parte delle popolazione di tutto il mondo. Ciò nonostante, non in tutto il mondo si è reagito con gli stessi strumenti per combatterlo. Differenti usi, costumi e, soprattutto, fattori culturali sono alla base di differenti politiche di prevenzione e protezione dal rumore. Non a caso Paesi quali quelli scandinavi e, comunque, del nord Europa, compresa la Svizzera, sono in prima linea nella lotta al rumore, attraverso politiche socio-economiche impregnate nello sviluppo del tessuto urbanistico. L’attenzione del mondo politico, tuttavia, non è altro che il riflesso di un’esigenza che scaturisce dai più ampi strati sociali della popolazione, desiderosa di poter vivere in un ambiente silenzioso. I benefici prodotti dal silenzio o, se vogliamo vederla sotto un’altra ottica, i danni causati dal rumore sono oramai noti, grazie ai numerosi studi di settore, unanimi nel riconoscere all’inquinamento fonico la responsabilità di alterazioni psico-fisiche, le cui reazioni, più o meno gravi, sono legate al tipo di rumore e all’intensità sonora attraverso i quali queste si manifestano. Insonnia, ansia, ipertensione sono solo alcuni dei principali effetti, i quali possono determinare una ridotta attività lavorativa, difficoltà relazionali, anche all’interno della coppia, con evidenti quanto rilevanti conseguenze economiche e sociali. Non mi stancherò mai di insistere sull’importanza delle azioni di prevenzione, le sole in grado di eliminare, alla radice, questo male moderno; sì, perché di questo si tratta, e questo nonostante, specie in Italia, siano ancora molti coloro che si ostinano a credere che l’inquinamento fonico sia solo un problema ambientale di serie “B”, giacché limitato o di stretto interesse degli “altri”, ma, come recita il titolo di una nota canzone di Umberto Tozzi “Gli altri siamo noi”. Penso, credo e spero
che i soggetti che oggi sono chiamati nel difficile compito di definire le
regole di domani possano prendere coscienza dell’importanza di come si debba
affrontare in maniera diffusa e sistematica il problema dell’inquinamento
fonico, al pari di qualsiasi altro problema che interessa la sfera della salute
e del benessere della persona.
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