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Emissione acustica (AE) per la
diagnosi di strutture murarie
Al contrario il metodo con le AE verifica come la risposta del mezzo cambia con il suo “invecchiamento” determinato dal ripetersi di sollecitazioni. Ad es. una barretta di acciaio dopo alcune decine di migliaia di flessioni si romperà per la “fatica” del mezzo. Lo stesso principio deve venire applicato ad una struttura muraria, come ad es. le Mura Aureliane, che possono agire come uno strumento campione per calibrare il metodo ed ottimizzarne l’uso. Vanno distinti due approcci, passivo e attivo. Il metodo passivo misura le AE rilasciate dalle strutture e ne individua in modo molto efficace lo stato di fatica, fornendo chiare evidenze con numerosi mesi di anticipo (o forse anche di alcuni anni, da verificare) rispetto all’eventuale collasso “catastrofico”. È un metodo non invasivo e non perturbativo del sistema, l’unico requisito essendo la necessità di un contatto efficace fra struttura e sensore (trasduttore acustico). L’applicabilità richiede di eseguire misure su corpi solidi e rigidi, come roccia, calcestruzzo, laterizio, ecc., mentre è inefficace nel caso di materiale sconnesso, dato che le AE vi vengono smorzate in un raggio di poche decine di centimetri. Va sottolineato come il sensore non sia da identificarsi con il solo trasduttore acustico di per se. Piuttosto va considerata un’intera struttura, eventualmente di estensione sconosciuta, e comunque di grande volume, che funge da guida d’onda e trasmette al trasduttore il segnale generato comunque al suo interno. Il metodo di misura ed interpretazione sta già venendo usato per studiare la fatica sia di leghe metalliche, sia di calcestruzzo, sia di strutture sismogenetiche, od area geotermiche e vulcaniche, mentre sono in corso di sviluppo gli studi relativi alle potenziali applicazioni ai movimenti franosi ed allo scorrimento dei ghiacciai. Il metodo non è basato su assunzioni o modelli particolari. È piuttosto una semplice osservazione passiva del come il materiale solido stia “invecchiando” e si avvicini al momento del suo collasso. Nel caso delle Mura Aureliane è possibile ipotizzare di mettere in opera due sensori in ogni punto di una successione di punti lungo l’intero perimetro. Ogni punto di misura sarà attrezzato per monitorare le alte frequenze (HF AE 200 kHz) e le basse frequenze (LF AE 25 kHz). Infatti, il segnale nelle HF AE precederà di numerosi mesi quello delle LF AE (come ci si deve attendere da considerazioni di interazioni al livello cristallino ed atomico). La distanza fra successivi punti di misura lungo la cinta muraria va stabilita in relazione all’obiettivo che ci si è preposti, anche in dipendenza della natura del manufatto. Infatti il metodo sarà certamente ben applicabile alle strutture in laterizio, mentre il segnale AE sicuramente verrà smorzato dal materiale sconnesso di riempimento delle mura. Ad es., un punto di misura ogni 10 metri darà certamente un dettaglio di sorveglianza ben più fine che non un punto ogni 100 metri od ogni 500 metri. Tutte le osservazioni AE possono venire trasmesse in tempo reale ad una sala operativa, utilizzando la normale rete telefonica. Tale rete di sensori dovrebbe fornire il dettaglio richiesto per decidere in tempo reale e con il dettaglio spaziale necessario la pianificazione di un intervento preventivo e conservativo. Il metodo attivo utilizza invece una sorgente artificiale di AE, e ne misura il segnale dopo che abbia attraversato la struttura da analizzare. Tale tecnica tomografica è già stata utilizzata con successo per lo studio di componenti di strutture edilizie. Ma per le Mura va tenuto presente che difficilmente sarà possibile utilizzarlo con trasmissione di AE fra i due lati esterno ed interno alle Mura, in ragione dello smorzamento del segnale AE che presumibilmente avverrà nel materiale sconnesso dell’interno delle Mura. Potrebbe invece essere efficacemente utilizzato per lo studio di spigoli o segmenti particolari della cinta muraria. In ogni caso, il metodo attivo richiede tempo, e segnali di energia più o meno elevata, tutti fattori tali da rendere il metodo applicabile soltanto su segmenti particolari della cinta muraria. Tali segmenti saranno stati individuati dalle evidenze preventivamente fornite dal metodo passivo. E’ evidente che la tomografia ad ulrasuoni può essere sostituita da altre tecniche tomografiche, ad esempio all’infrarosso o con il metodo della misura della resistività elettrica, ma in qualsiasi caso la tomografia realizza una fotografia dell’eventuale stato di fatto della struttura, ma non riconosce se quello stato è connaturato o in fieri. L’unico metodo che invece controlla la dinamica degenerativa del difetto è il metodo passivo ad ultrasuoni, sopra descritto. Tutto quanto qui prospettato è già stato provato e riprovato, consolidato per molte diverse applicazioni, sia in laboratorio, sia in strutture naturali. Ovvero si tratta solo di individuare i modi ed i tempi del preavviso della “catastrofe”. In ogni caso va sottolineato con enfasi che non si tratta mai di fare delle “previsioni” (un po’ come il medico che diagnostica lo stato di un paziente, ma non fa previsioni sull’istante del suo eventuale trapasso). Piuttosto si fa della diagnosi, mentre l’eventuale istante e punto esatto della “catastrofe” in generale dipende da un numero di gradi di libertà che in nessun caso potrà mai essere fornito soltanto da alcuni sensori di AE. È infatti molto importante ai fini dell’affidabilità dell’informazione distinguere l’informazione fisicamente “robusta”, ovvero che sia oggettivamente motivata dalle osservazioni, da quanto invece dipende dal preconcetto del ricercatore che vorrebbe darne un’interpretazione ipotizzata a priori, anziché un’altra. Va sottolineato come il metodo sia uno strumento che efficacemente permette al sistema di “dire” in tutta libertà quella che è la fatica delle sue strutture, senza dover ricorrere ad ipotesi od assunzioni più o meno semplificatrici ed arbitrarie.
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