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Marzo-aprile 2014 - A cura di Luciano
Mattevi Un binomio probabilmente in antitesi, come rappresenta l’accostamento fra il bianco ed il nero, l’altro ed il basso, il bello ed il brutto, fattori che difficilmente possono contemporaneamente coesistere, risultando facce di diverse medaglie. Dove cresce e si sviluppa l’uno crea terreno asfittico per l’altra. In diverse occasioni all’interno di questa rubrica si è avuto occasione di accennare a questa quantomeno ambigua combinazione. La Cultura per crescere ed espandersi necessita di ambienti silenziosi, nei quali è possibile ascoltare la flebile voce del Sapere, allo stesso modo in cui ogni individuo abbisogna del Silenzio per poter scrutare nel profondo della propria coscienza. Il nostro impegno è rivolto a voler favorire, alimentandola, una maggiore sensibilità collettiva che funga da stimolo alla ricerca del silenzio che è alla base del nostro stato di benessere, un’opera che conduce il mondo cristiano ad ascoltare la voce di Dio ed il mondo laico a quella parte più profonda e intima di noi stessi in cui si annida il nostro centro emozionale, oramai troppo spesso soffocato dal rumore persistente all’interno delle nostre case, sul lavoro, nelle nostre città. La crescita intellettuale che sta alla base di quella sociale ed economica non può trovare sfogo nel rumore, spesso inteso come espressione di degrado. I processi industriali moderni sono assai lontani dagli stereotipi delle fabbriche rumorose e inquinanti di inizio ‘900. Oggi gran parte della ricchezza mondiale viene creata attraverso lo sviluppo di centri intellettuali, di cui il mondo finanziario ne è solo una delle più evidenti espressioni. Quindi se una Nazione vuole far crescere il benessere dei propri cittadini deve essere in grado di destinare importanti risorse per rendere fertile il terreno in cui la Cultura può prosperare, in caso contrario, vedrà sempre più allontanarsi dai centri di innovazione e progresso e sarà destinata, inesorabilmente, a rovinare nel declino e nella povertà, così come è occorso a molte civiltà del passato, passate da potenze egemoni a territori desertificati. Ancora molti, troppi, casi manifestati dai nostri lettori nella nota rubrica “Posta dei lettori” esprimono uno stato di inefficienza e degrado, nel quale il lamentate viene, a torto, assunto come ostacolo al processo lavorativo ed occupazionale, un fattore che la dice lunga sul lungo percorso culturale che siamo chiamati ancora a voler cercare di colmare. Lamentele e lavoro non sono in contraddizione, anzi è vero piuttosto il contrario, dal momento che proprio grazie alle lamentele vengono alimentati pensieri diversi di come può essere gestito il territorio o affinati processi produttivi tecnologicamente più avanzati, concepiti per ridurre quella componente di rumore in eccesso, generando soluzioni innovative spendibili su scala globale che facciano, di conseguenza, crescere il lavoro. Le dinamiche in cui vertono le realtà economico-sociali mondiali sono oramai da tempo cambiate, un processo inesorabile ed irreversibile, e comunque non dipendente dal volere di una singola, piccola ed economicamente sofferente Nazione.
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