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Responsabilità penale del gestore per gli schiamazzi degli avventori all’esterno del locale

Agosto 2020 - A cura di Avv. Santo Durelli    » sito web

 

Premessa

Lo scenario è quello tipico di tante nostre città: un locale di piccole dimensioni, che emette musica e i cui avventori si intrattengono nello spazio esterno a parlare e schiamazzare; il tutto che si protrae fino a notte fonda, impedendo il normale riposo e sonno delle persone; i residenti chiamano ripetutamente le forze dell’ordine, ma una soluzione duratura non si trova ed allora denunciano penalmente il gestore per il reato di cui all’art. 659 c. p. (disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone). Il gestore si difende dicendo che ha le autorizzazioni comunali, che ha diritto di esercitare la sua attività, che le persone hanno diritto di riunirsi e divertirsi, che egli risponde tutt’al più per quanto accade dentro il locale e non sulla strada pubblica.

La responsabilità penale del gestore per gli schiamazzi della clientela è un argomento divisivo, sia a livello di opinione pubblica che in parte anche in giurisprudenza. Ad un orientamento più "benevolo" verso i gestori (qualche sentenza ha ritenuto non impegnata la responsabilità penale del gestore che si era limitato alla semplice affissione di un cartello invitante a non disturbare il vicinato), si contrappone altro – decisamente prevalente – invece più rigoroso.

A questo riguardo segnalo la sentenza Cassazione penale n. 22142/17 che è molto chiara (non tutte le sentenze hanno questo pregio) in quanto detta una sorta di vademecum per il gestore.

Ha infatti statuito la Corte, nel riconoscere la colpevolezza del gestore (che si era limitato ad affiggere un cartello invitando i clienti a non arrecare disturbo al vicinato), che:

- il gestore deve esercitare un potere di controllo verso i comportamenti della clientela, non solo all'interno del locale ma anche all'esterno dello stesso;

- deve a tal fine ricorrere ai più vari accorgimenti: avvisi alla clientela, impiego di personale dedicato (i cosiddetti "steward"), somministrazione di bevande in recipienti non da asporto, ricorso alle Autorità di Polizia, esercitare il diritto-potere di "cacciare" (in "giuridichese" ius excludendi) i disturbatori dal locale e aree pertinenziali;

- se non fa' questo il gestore commette il reato più sopra richiamato (commesso mediante omissione).

 

Sentenza Corte di cassazione penale n. 14750 del 13.5.2020

La pronuncia in argomento si inserisce nel filone più rigoristico ed è particolarmente interessante per le seguenti ragioni:

- si pronuncia su uno di quei casi, piuttosto rari, in cui è stato disposto il sequestro del locale disturbante;

- la Suprema Corte riserva alcuni passaggi motivazionali al rapporto tra i diritti (quasi sempre confliggenti) di chi, da un lato, pretende di poter riposare normalmente e, dall’altro, reclama il diritto di svago e di intrattenimento delle persone, cui è strettamente correlato quello di esercitare attività imprenditoriale in un locale debitamente autorizzato;

- la pronuncia è di pochi giorni successiva a quella del Consiglio di Stato n. 268 del 17 aprile 2020 (per un breve commento mi permetto rinviare al » precedente articolo), con la quale condivide, pur muovendo da ambito giurisdizionale del tutto diverso, l'enunciazione, netta e perentoria, secondo cui grava sulla Amministrazioni comunale – a dispetto di quel che nella realtà normalmente accade – l'onere di approntare quanto necessario per una effettiva tutela della quiete delle persone.

 

La vicenda processuale

Il G.I.P. (Giudice delle indagini preliminari ), sulla base della denuncia dell’amministratore di un Condominio e delle risultanze istruttorie, disponeva il sequestro preventivo di un pubblico esercizio nei confronti del gestore indagato in ordine al reato di cui agli art. 81 c.p. e art. 659 c.p., commi 1 e 2 perché disturbava le occupazioni e il riposo delle persone dimoranti nelle vicinanze, attraverso diffusione di musica ed emissioni acustiche ampiamente superiori ai limiti fissati dalla normativa vigente, anche in orario notturno, in particolare non impedendo i continui schiamazzi degli avventori, che si intrattenevano, in varie decine, su tavole e sedie del locale collocati su suolo pubblico. Situazione che si protraeva anche fino alle ore 03.

Oltre a sentire testimoni, veniva eseguito un accertamento da parte di ARPA da cui emergeva che il vociare proveniente dal bar, sebbene non particolarmente significativo, aveva tuttavia incrementato il livello del rumore residuo, a finestre aperte, di 21,4 deciBel e, a finestre chiuse, di 7,9 deciBel.

Il Tribunale del Riesame, in accoglimento dell'istanza del gestore indagato, annullava il decreto di sequestro, per le ragioni di seguito sinteticamente riportate:

- non era addebitabile al gestore la responsabilità penale per il vociare dei clienti, sia perché non era stato accertato chi fossero gli avventori del locale (nessuno dei quali era stato identificato nel corso dei controlli), sia perché risultava che il gestore si era attivato per tacitare i clienti, apponendo un cartello di invito alla moderazione;

- non era stata riscontrata l'esistenza di emissioni davvero disturbanti e neanche individuata con precisione la fonte del disturbo, cioè se da passanti, da avventori e da quale locale.

Contro questa ordinanza la Procura ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, che lo ha accolto con la decisione in commento annullando l’ordinanza.

Ci soffermiamo in questa sede soltanto sul capo della sentenza in cui la Corte affronta la questione della responsabilità penale del gestore del locale rispetto agli schiamazzi dei clienti.

La sentenza ha dato continuità, ed espressamente li richiama, a vari precedenti della stessa Corte di cassazione penale (n. 48122 del 2008, n. 34283 del 28/07/2015, n. 28570 del 09/05/2019), secondo cui risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne: ciò in base al pertinente rilievo secondo cui la veste di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento, come l'attuazione dello "ius excludendi" e il ricorso all'Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica; a tal fine, poiché l'evento possa essere addebitato al gestore dell'esercizio commerciale, occorre che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo da parte dell'agente.

Soprattutto nel caso di spazi pubblici occupati da una pluralità di persone destinate peraltro ad alternarsi nel corso della serata, ad arrecare disturbo alle occupazioni delle persone, più che la voce del singolo cliente, è la rumorosità diffusa provocata dall'insieme degli avventori, rispetto alla quale viene in rilievo la posizione di garanzia di chi ha la responsabilità della gestione del locale dove si raccolgono, sia pur legittimamente, coloro che alimentano quei rumori, per cui è da quest'ultimo che deve esigersi la condotta impeditiva dell'evento illecito.

Deve ritenersi non dirimente il fatto che nessuno degli avventori sia stato identificato, dovendosi piuttosto incentrare l'attenzione sulla verifica dell'attività di controllo esigibile da parte del gestore del locale, in un'ottica non formale ma sostanziale, che tenga conto sia delle dimensioni degli spazi destinati al pubblico, sia della conseguente necessità di accertare il rispetto della "normale tollerabilità" delle emissioni sonore.

E’ risaputo quanto sia difficile il rapporto tra diritto al riposo degli abitanti della zona da un lato e diritto allo svago degli avventori e tutela della libertà di impresa dall'altro; tuttavia, se è vero che il locale era autorizzato a rimanere aperto fino alle 3 di notte e che l'occupazione degli spazi esterni era stata autorizzata dal Comune, è tuttavia altrettanto innegabile che tali circostanze non possono legittimare una compromissione delle esigenze di tutela della tranquillità pubblica, né esimono il gestore del locale pubblico dall'osservanza dei doveri di controllo sul rispetto della quiete altrui.

E su questa enunciazione si innesta quella, che mi piace evidenziare, secondo cui l'obbligo del gestore sussiste – dice la Corte – a prescindere dall'eventuale inerzia della Pubblica Amministrazione, chiamata per prima a ponderare con rigore gli interessi in gioco nella gestione degli spazi pubblici e a dirimere eventuali contrasti.

Ecco il richiamo che la Cassazione rivolge all'Ente pubblico – sia pure non direttamente, non essendo il Comune parte di quel processo – che è tenuto ad intervenire per porre rimedio sia in forza dei principi generali dell'ordinamento – in quanto proprietario e custode della strada – sia per espressa disposizione della L. 447/95 che gli affida compiti di controllo e vigilanza sul rispetto dei limiti della rumorosità generata dalle attività.

 

Il ruolo del Comune nella tutela dall'inquinamento acustico secondo i Giudici

La mia opinione è che la Magistratura, nel suo complesso, svolga piuttosto bene il suo ruolo nel campo della tutela dall'inquinamento acustico. Vi sono decisioni plurime, con enucleazione di principi chiari, emesse sia in sede di giustizia amministrativa, nonché in sede civile e penale, che, oltre a condannare il responsabile diretto, "inchiodano" la Pubblica amministrazione, in primis il Comune, alle propri responsabilità e compiti in materia.

Tra le tante ricordo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1372/2013 secondo cui “il potere del Sindaco di emanare la ordinanza ex art. 9 della l. n. 447/1995 è un dovere connesso all'esercizio delle sue pubbliche funzioni, al quale non può sottrarsi, anche se è leso un solo soggetto, spogliandosi del potere, di valore pubblicistico, di reprimere l'inquinamento acustico”.

Ed ancora le sentenze dei Tribunali civili di Brescia, di Como, di Savona (di cui ho già scritto in commenti precedenti) che hanno visto la condanna dei Comuni per fenomeni riconducibili all’inquinamento acustico, nonché la sopra citata e recentissima sentenza del Consiglio di Stato n. 2684 del 17 aprile 2020 che ha riconosciuto il potere del Comune di dotarsi di regolamento che inibisca determinate attività in specifiche zone laddove sia pregiudicata la quiete delle persone, a prescindere dal rispetto dei limiti acustici previsti dalla normativa vigente.

Ecco il passaggio motivazionale saliente di questa importante pronuncia "la tutela del bene giuridico protetto dalla L. 447/1995, la quale mira alla salvaguardia di un complesso di valori (cfr. art. 2, co. 1, lett. a) rispetto al fenomeno dell’inquinamento acustico, coesiste con la tutela del diverso bene giuridico che è costituito dalla pubblica tranquillità, trattandosi di beni presidiati da norme con obiettivi e struttura diversi…

...la legislazione sull’inquinamento acustico non impedisce ai comuni di adottare una più specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione dei rumori nel loro territorio, la quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla L. n. 447 del 1995, prenda in considerazione, non già il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità (considerato, per presunzione iuris et de iure, come generativo di un fenomeno di inquinamento acustico, a prescindere dall’accertamento dell’effettiva lesione del complesso di valori indicati nell’art. 1, comma 1, lett. a, della Legge) ma i concreti effetti negativi provocati dall’impiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata ...pur non potendo gli enti locali introdurre, nell’esercizio della propria potestà amministrativa limiti alle immissioni sonore diversi e comunque inferiori a quelli previsti dalla l. n. 447 del 1995, i Comuni possono dettare disposizioni particolari, anche presidiate da sanzione amministrativa, che vietino non (soltanto ndr) le immissioni sonore che superino una soglia acustica prestabilita, ma tutte quelle che comunque nuocciano alla quiete e alla tranquillità pubblica o privata, quale che sia il loro livello acustico".

 

Considerazioni finali e prospettive

Il problema semmai è quello che le Pubbliche amministrazioni, pur non mancando esempi virtuosi, continuano a non intervenire efficacemente per la tutela dei cittadini disturbati, se non a disinteressarsene proprio.

Le ragioni sono molteplici, ne ricordo alcune: dal punto di vista elettorale l’esercizio di questa tutela non paga; mancano mezzi e personale; ma soprattutto, a mio giudizio, a giustificare simile inerzia è la prospettiva, per la P.A., di una quasi totale assenza di rischi dal punto di vista economico.

Troppo poche, a dispetto della diffusione del problema, sono le iniziative giudiziali dei cittadini disturbati, che, per comprensibili ragioni, si limitano a proteste e lamentele, soprattutto sui social, ricercando sempre il dialogo nella speranza che qualcosa cambi in meglio. Molti poi si rassegnano, pochi sono quelli che affrontano una battaglia giudiziaria.

Su questo aspetto però è prossima (Novembre 2020) l'entrata in vigore della nuova class action, applicabile anche a problematiche ambientali e che credo potrà comportare un cambio di mentalità, sia da parte dei cittadini che delle Pubbliche amministrazioni (che a quel punto rischieranno anche sotto l'aspetto economico).

 

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