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Aggiornamento: 30 giugno 2025

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Editoriale - Temi per sensibilizzare l'attenzione all'inquinamento fonico

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Dai primi riferimenti, alle azioni per cercare di lenire gli effetti causati dal rumore

Luglio 2025 - A cura di Luciano Mattevi - Ideatore e Direttore di Inquinamentoacustico.it
 

Diviene spesso importante, oserei forse dire fondamentale, conoscere le logiche evolutive che hanno portato alla valutazione del disturbo da rumore previste dall’Ordinamento pubblicistico, addentrandoci lungo un percorso da cui, nel corso dei decenni e dei diversi orientamenti intervenuti, si è giunti a riconoscere gli attuali strumenti di salvaguardia dai disturbi causati dall’esposizione a fenomeni sonori indesiderati che, comunemente, associamo al "rumore”, benché questo fattore rappresenti unicamente l'effetto, mentre la vera causa è costituita dall'inquinamento acustico. Per compiere questo, tuttavia, abbiamo bisogno di riferirci ad un breve excursus delle principali tappe susseguitesi in questi oltre novant’anni di attività regolamentare.

Iniziamo, quindi, col compiere un importante balzo indietro nel tempo quando…correva l’anno 1934, in cui venne approvato il Regio Decreto n. 1265, del 27 luglio 1934 (Testo Unico Leggi Sanitarie) con il quale ha incluso in un elenco le manifatture o fabbriche che possono risultare pericolose alla salute degli abitanti, suddividendole in due classi. La prima, quelle attività che devono essere tenute lontane da abitazioni. La seconda, quelle altre che, seppur vicine ad abitazioni, esigevano speciali cautele per la incolumità del vicinato. Veniva altresì demandato al Potestà locale (oggi incardinato nella figura del Sindaco) il compito di offrire attuazione a quanto previsto all’interno dei regolamenti locali di igiene e sanità, disponendo all’occorrenza altre limitazioni, se necessarie, per la salvaguardia della salute della popolazione. Giocava quindi al tempo un ruolo fondamentale la discrezionalità amministrativa e la “sensibilità” del reggente locale nel riconoscere quegli strumenti che avrebbero potuto soddisfare le specifiche esigenze di protezione, ivi comprese quelle relative alle immissioni sonore.

L’attuazione di tale norma, è risultata per lungo tempo il principale riferimento in ambito amministrativo e, per certi versi, lo può essere tuttora, dacché può trovare richiamo nell’ambito delle illecite immissioni di cui al Libro III, Sezione I, del  R.D. n. 1398/30 (c.d. “Codice Rocco”) - che tratta delle contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico e la tranquillità pubblica - riprese dall’art. 659 C.P. (Disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone). Infatti, il comma 2, ha inteso punire colui che, nell’esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso, operi contro le disposizioni della Legge o le prescrizioni dell’Autorità.

Tale norma satellite - come lo si potrebbe intendere, almeno nella prima fase, anche la fonte normativa derivata in applicazione dell'art. 844 c.c. (immissioni) promulgato all'interno del Codice civile adottato con R.D. 262/1942 - costituiva tuttavia un riferimento “in bianco”, ossia privo di precisi spunti oggettivi misurabili. Ciò fino al 1968, quando con Circolare ministeriale n. 160/68, venne promossa l'indicazione della soglia di 60 dB(B) durante il periodo diurno e di 45 dB(B) durante quello notturno, quale livello massimo di rumore consigliato da non superare in prossimità di impianti produttivi, misurati al suolo e ad una distanza pari all’altezza del muro di cinta, quindi all'interno del “cono d’ombra” di diffusione del rumore. Tale indicazione venne successivamente aggiornata con la Circolare ministeriale n. 168/71 nella quale i livelli di rumore vennero riferiti alla curva di ponderazione “A”, attualmente in uso, e la posizione della misura venne innalzata alla pari altezza del muro di cinta dello stabilimento.

In seguito, anche grazie ai solleciti compiuti dall’allora Commissione economica europea (CEE), stante l’incessante aumento del rumore all’interno dei centri urbani, lo Stato italiano ebbe occasione di riconoscere, in occasione del trasferimento dei poteri alle Regioni, attuato dal Capo III - Tutela dell’ambiente dagli inquinanti del D.P.R. 616/1977, l’obiettivo di riconoscere dei limiti alle emissioni sonore (art. 102), i quali restavano comunque riservati alla l’egida dello Stato. Condizione questa successivamente ripresa dalla L.833/1978 (Istituzione Servizio Sanitario Nazionale), la quale si prefiggeva di assicurare delle condizioni di salute uniformi sull'intero territorio nazionale (art. 4).

Bisognerà tuttavia attendere l’emanazione della L. 349/1986 (Istituzione Ministero dell’Ambiente) che ebbe occasione di include tra gli obiettivi quello di fissare dei limiti massimi al rumore (art. 2, c. 14), prima di trovare una concreta attuazione del menzionato d.P.R. del ’77, allorquando venne stabilito di rimettere al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e di concerto con quello della Sanità, il compito di fissare dei limiti massimi di accettabilità delle immissioni sonore.

Da ciò ha tratto origine l’emanazione del d.P.C.M. 1° marzo 1991, con cui l’Italia si è (finalmente) dotata di una prima norma di riferimento in materia di immissioni sonore, stabilendo dei valori massimi di esposizione al rumore per l’ambiente esterno (a seconda della classificazione in zone del territorio comunale) e per quello interno agli ambienti abitativi (limiti differenziali). L'entità di tali soglie e le modalità di rilevamento traevano riferimento dalla UNI 9433:1989 - Valutazione del rumore negli ambienti abitativi (aggiornata nel 1995 e poi definitivamente ritirata) che, a sua volta, si riferiva alla ISO 1996-1:1982 e 2/3:1987, quale evoluzione della Raccomandazione ISO R 1996:1971, probabilmente, nota ai più per aver contribuito alla definizione del criterio comparativo utilizzato per la valutazione della soglia della c.d. "normale tollerabilità".

Il citato d.P.C.M. del '91, le cui prime bozze di stesura pare risalgano addirittura al 1984, fu dapprima fortemente osteggiato, almeno per la parte relativa alle differenze da non superare (livelli differenziali di rumore - art. 2), trovando, infine, una linea di convergenza nella definizione delle soglie di sbarramento al di sotto delle quali il livello differenziale non era applicabile, ritenendo che "(omissis) ogni effetto del disturbo è ritenuto trascurabile" (punto 3.2, Allegato B). Inoltre, tale corpo normativo venne privato di uno specifico regime sanzionatorio e, per di più, si rilevò presto affetto da alcuni elementi di incostituzionalità sollevati in capo agli artt. 4 e 5 dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 517/91). Resta peraltro evidente che, stando almeno alla prefazione, il menzionato decreto si prefiggeva di supplire, "(omissis) stante la grave situazione di inquinamento acustico attualmente riscontrabile nell'ambito dell'intero territorio nazionale", in via d’urgenza, in attesa dell’emanazione di una specifica legge di riferimento.

Fu solo con l’emanazione della legge n. 447 del 26 ottobre 1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) che l'Italia potrà concretamente riconoscere un testo normativo organico di riferimento, mediante l’adozione dei successivi decreti attuativi, con appositi limiti al rumore, distinti a seconda della sorgente specifica (1) da cui tali emissioni hanno origine, sia per l’ambiente esterno (valori di emissione, immissione, attenzione e qualità), sia per quello interno agli ambienti abitativi (valori limite differenziali).

Tuttavia, risulta utile ricordare che la conservazione del criterio differenziale, nonostante il Ministero dell'ambiente apparisse orientato alla sua abolizione, dopo un acceso dibattito in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera (Cfr. relazione dall'allora On. Roberto Castelli, il quale negli anni dal 2001 al 2006 occupò anche il ruolo di Ministro della Giustizia), venne deciso di non eliminare tale criterio, in base alla considerazione che lo stesso risultava già presente nel precedente strumento regolamentare (2).

Fatte salve le diverse traversie, la citata Legge quadro ha inteso riconoscere nello strumento della prevenzione, in primis derivante dall’adozione della Classificazione Acustica (ex art. 6, c. 1, lett. a), L.447/95), il principale strumento di governo del territorio in ambito locale per scongiurare o, almeno, per cercare di contenere l’insorgere di quei fenomeni di disturbo che, spesso, hanno occasione di manifestarsi allorquando non sia posta in adeguata attenzione l'ordinato sviluppo del territorio, considerando le diverse esigenze, quelle produttive da un lato e quelle abitative dall'altro, come peraltro caldeggiava fin dagli albori il citato R.D. 1265/34. A tal fine, l'insediamento delle nuove attività, impianti, infrastrutture, ovvero la modifica di quelli esistenti, è stata subordinata agli esiti di una valutazione di impatto acustico (art. 8, commi 2 e 4), mentre, l'edificazione di ricettori "sensibili" e lo sviluppo di insediamenti residenziali è rimesso agli esiti di una preliminare valutazione del "clima acustico" (art. 8, c. 3), mediante i quali assicurare una protezione del rumore prima che questo abbia modo di manifestare i sui nefasti effetti, piuttosto che cercare di contrastarlo una volta prodotto.

Durante i quasi trent’anni dalla sua emanazione, la L.447/95 è stata interessata di alcune modifiche, nel tentativo, non sempre riuscito anche se riconosciuto almeno nelle intenzioni, di armonizzare il quadro regolamentare nazionale agli indirizzi espressi dalle Direttive via via emanate dalla Commissione Europea (CE), a partire dalla Direttiva 2002/49/CE del 25 giugno 2002 (c.d. “Direttiva END”) relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, recepita dall’Italia dal D.Lgs. 194/2005, la quale insiste, per l’appunto, nel principale riferimento della “gestione” del rumore, mediante la predisposizione di mappe acustiche e mappe acustiche strategiche (art. 3) da cui trarre riferimento per la definizione dei programmi di contenimento del rumore ripresi nei Piani di Azione (art. 4) per i conglomerati urbani e per le infrastrutture principali (strade, ferrovie e aeroporti), risultando queste le principali fonti di rumore in Europa.

Ed oggi, qual è la situazione? Rispondere a questo interrogativo non è affatto semplice, poiché le azioni attese nell’ambito delle disposizioni nazionali e di quelle europee non trovano ancora una sufficiente omogenea applicazione, permanendo una significativa, quanto cronica, disomogeneità. Di certo, gli effetti del rumore continuano a persistere e, in certe aree del continente, addirittura ad aumentare, come pare testimoniare il recente Rapporto sul rumore ambientale in Europa 2025 da cui si evince che in Europa, a causa dei trasporti, il numero di persone esposte a livelli di rumore considerati nocivi per la salute resta ancora elevato (circa il 20% del totale) ed i carichi di malattia correlati al rumore rimangono certamente di entità tale da non indurci ad abbassare la guardia: 66.000 decessi prematuri all'anno; circa 50.000 nuovi casi di malattie cardiovascolari e 22.000 casi di diabete di tipo 2.

Tutto questo dovrebbe, quantomeno, rafforzare la convinzione che salus populi suprema lex esto (il benessere dei popoli sia la suprema legge), quindi è necessario perseverare, anche attraverso rimedi derivati dall’individuazione delle “zone di quiete”, ossia di quelle zone nella quali risulti ancora possibile fruire del silenzio (vedi articolo "L'esperienza del Silenzio") e, grazie a questa straordinaria risorsa, offrire alle persone la possibilità di rigenerarsi, recuperare quella serenità minacciata dallo stress quotidiano, potendo usufruire dei benefici effetti procurati nel compiere passeggiate, letture all'aperto e, in generale, dedicarsi all'ascolto di quel complesso variegato di suoni che solo la natura ci regala, alimentando la nostra mente e, soprattutto, elevare il nostro spirito a quell’identità superiore alla quale siamo (tutti) indissolubilmente legati. “Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L'animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca” (Charlie Chaplin).

 

_________

(1) Sorgente sonora selettivamente identificabile che costituisce la causa del potenziale inquinamento acustico (punto 1, Allegato A, D.M. 16/3/98);

(2) Mario Ragona, Il Rumore - Normativa, Giurisprudenza, Dottrina, CEDAM 1999.

 

 

 

 

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